Con l'annunciare il 7 ottobre il ritiro delle forze speciali americane dalla Siria settentrionale, Trump ha dato ad Erdogan il via libera per lanciare l'esercito turco contro i curdi siriani. Il cinismo con cui i leader americani hanno abbandonato quelli su cui si erano appoggiati per riconquistare i territori controllati dall'Isis scandalizza legittimamente molti in tutte le parti del mondo.
Ma questo comportamento delle grandi potenze non è nato ieri. Se i popoli del Medio Oriente, dalla Siria all'Afghanistan, all'Iraq e all'Iran, hanno sofferto guerre e distruzioni per decenni, la responsabilità ricade direttamente sulle potenze imperialiste. Gli Stati Uniti, il gendarme del mondo, sono oggi all'opera, ma sono stati seguiti, o preceduti a seconda degli episodi, da Francia e Gran Bretagna, i primi ad essersi spartiti questa regione strategica, ricca di petrolio, tracciando confini arbitrari, tagliando in quattro pezzi le popolazioni curde. E questa politica è andata avanti.
Già nel 1979 la CIA finanziava e attrezzava le milizie islamiste che combattevano la presenza sovietica in Afghanistan. Questo sostegno ha permesso ad un certo Osama bin Laden di farsi strada e di costruirsi una solida rete prima di rivolgersi contro i suoi padroni fondando Al Qaeda. Il jihadismo, il cui sradicamento viene ora utilizzato per giustificare interventi militari e leggi di sicurezza in nome della "lotta al terrorismo", è un prodotto diretto delle manovre imperialiste.
Nel 2011, il democratico Obama ha ritirato le truppe americane dall'Iraq che il repubblicano Bush junior aveva invaso nel 2003, con il pretesto degli attentati dell'11 settembre di cui gli iracheni non erano in alcun modo responsabili. L'esercito americano e i servizi speciali non lasciarono "un Iraq sovrano, stabile e autonomo", come sosteneva Obama. Lasciavano un popolo ferito e un paese distrutto dalla guerra civile, diviso da loro in aree confessionali su cui fiorirono milizie islamiste di varie confessioni. Tra questi c'erano Al Qaeda in Iraq e il suo leader Al Baghdadi, che sarebbe stato fondatore dell'Isis.
Quando nel 2011 la "primavera araba" ha coinvolto la Siria, l'intervento delle grandi potenze non ha mirato, qualunque cosa si dica, a sostenere le aspirazioni sociali e democratiche della popolazione di fronte alla dittatura di Bashar al-Assad. Dopo un periodo di attenta osservazione, hanno voluto approfittare della situazione per cercare di sostituire il regime di Assad con un altro, più docile ai loro interessi. Hanno agito per sostituire la protesta sociale con una guerra civile e confessionale. Lo hanno fatto direttamente e attraverso alleati regionali rivali, Arabia Saudita e Turchia, ma anche Qatar, Egitto e Iran. Questi interventi delle potenze regionali, alternativamente incoraggiati o moderati dagli Stati Uniti, hanno trasformato la Siria in un campo di battaglia per le milizie concorrenti. Questo dice quanto poco vale la retorica dei dirigenti occidentali sulla democrazia, i diritti dei popoli, delle donne o delle minoranze oppresse.
Quando una di queste milizie, l'Isis, nata in Iraq, è riuscita a controllare un vasto territorio proclamando lo Stato islamico nel Levante e in Iraq, le grandi potenze hanno dovuto cambiare idea. Da un lato, hanno rimesso in gioco il dittatore Assad. D'altra parte, hanno formato una coalizione per combattere l'Isis. Gli Stati Uniti e i suoi alleati si sono affidati alle milizie curde siriane, assistite dai loro consiglieri militari e sostenute dai loro aerei. A costo di pesanti perdite, le milizie curde dello YPG e delle Forze Democratiche siriane (SDF) hanno riconquistato, città per città, il territorio occupato dall'Isis.
Come quelli del Kurdistan iracheno, i nazionalisti curdi in Siria speravano che questa alleanza gli avrebbe permesso di preservare a lungo la piccola area autonoma conquistata nel nord del paese durante la guerra civile. La speranza è stata di breve durata. Non si sa quali sono stati gli accordi tra Trump ed Erdogan, quali sono i calcoli a più lungo termine degli Stati Uniti, ma comunque questi ultimi hanno sacrificato i curdi per soddisfare il loro alleato turco, ostile ad un Kurdistan autonomo ai suoi confini e pronto ad un'avventura militare per ripristinare la sua immagine. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, attraverso la Turchia, stanno tornando ad essere protagonisti della guerra civile siriana, anche se ciò significa rilanciarla.
Questo abbandono dei Curdi dimostra ancora una volta che l'ordine mondiale imposto dalle grandi potenze non lascia spazio all'autodeterminazione dei popoli. Che si tratti di curdi, palestinesi o altri, esse agiscono solo nell'interesse proprio e quello delle loro aziende, del petrolio o altro.
Il dominio dell'imperialismo porta solo al caos e alla guerra permanente, come dimostrano gli esempi della Siria, dell'Iraq e del Medio Oriente nel suo complesso, con il rischio sempre presente di precipitare il mondo in una guerra generalizzata.
X. L