Contro le chiacchiere e le bugie, la parola d’ordine e’organizzazione

Che il messaggio politico sia fatto passare attraverso emotività e suggestioni non è una novità. Ma la rilevanza di questi aspetti nel periodo storico attuale è impressionante: si fanno passare fischi per fiaschi con una disinvoltura e una facilità sorprendenti. La classe dominante ha trovato davvero il linguaggio giusto per non farsi smentire, o si tratta di una bolla destinata a sgonfiarsi?


Le notizie sui dati economici dell’Italia nel secondo semestre 2019 sono recenti, l’Istat le ha diffuse poco prima di agosto. Come volevasi dimostrare, quello che avrebbe dovuto essere “un anno bellissimo” presenta parecchie difficoltà a conformarsi alle pretese. A inizio anno si intravedevano già segnali di stagnazione, ai quali il Ministro grillino del Lavoro dell’epoca, Di Maio, aveva reagito dichiarando: “Testimoniano il fallimento del Governo Gentiloni. Noi stiamo invertendo tendenza” (La Repubblica, 1.2.19). La tendenza non ha voluto saperne di invertirsi, e secondo i dati Istat l’Italia è ufficialmente entrata in stagnazione, essendo la sua crescita economica pari a zero, con la tendenza a imboccare pericolosamente la strada in discesa.

Produzione e reddito nazionale medio sarebbero fermi, e l’apporto del reddito di cittadinanza per rianimare l’economia non sarebbe servito a granché; ma per evitare ovviamente di dare risalto alla notizia il Governo - quello in carica a luglio, naturalmente - ha enfatizzato l’altro dato Istat, quello che dà la disoccupazione in calo al 9,7% e gli occupati al 59,2%. Un record! Peccato che, anche in questo caso, la propaganda venda tonnellate di fumo. C’è lavoro e lavoro, e a parità di occupati le ore lavorate sono molte di meno: gli stessi dati Istat ci dicono che per 592mila italiani la settimana lavorativa è costituita da un orario che va da un minimo di 1 a un massimo di 10 ore, il che sicuramente non fornisce un reddito sufficiente a sopravvivere. Ma basta lavorare un’ora alla settimana, per entrare ufficialmente nel novero degli “occupati”. Lavorare 40 ore a settimana è un “privilegio” di cui godono 11 milioni e 605mila italiani, ma ben 9 milioni e 568mila ne lavorano di meno. Come se non bastasse, a queste considerazioni si aggiungono quelle che ricorda il quotidiano di Confindustria: i disoccupati in meno “hanno ingrossato le file degli inattivi”, ossia coloro che un lavoro non lo cercano nemmeno più. Per quanto riguarda poi il tasso di occupazione, il suo aumento sarebbe dovuto a “una diminuzione della popolazione in età da lavoro, conseguenza dell’invecchiamento della popolazione” (Il Sole 24 Ore, 31.7.19).

Ciò detto, registriamo una piccola notizia sui percettori del reddito di cittadinanza. Per loro, nel caso vogliano arrotondare con un lavoretto in nero, non è previsto il taglio delle mani, ma la galera sì: nell’ambito di una serie di controlli, due di questi individui sono stati sorpresi a Erba, in provincia di Como, a riscuotere il reddito di cittadinanza lavorando in nero. La Guardia di Finanza li ha prontamente denunciati alla Procura di Como, e i due rischiano la reclusione da 1 a 3 anni. L’azienda che li sfruttava se la potrà cavare invece con una sanzione amministrativa, che pur aggravata, va da un minimo di 2.160 a un massimo di 12.960 euro (Il Fatto Quotidiano, 24.7.19). E’ probabile che cifre simili l’azienda le abbia già risparmiate facendoli lavorare al nero, senza pagare i contributi. Le diverse tipologie di trattamento applicate in questi due casi non sono che lo specchio dei rapporti di forza tra la classe dei lavoratori e quella degli imprenditori, che qualsiasi Governo fedelmente riproduce. Sfruttare dei lavoratori al nero, come evadere le tasse, etc. è un peccato veniale comunemente consentito per i padroni; ma comportamenti simili non sono tollerabili nei lavoratori. Se le cose non stessero così, esisterebbe una volontà concreta di impedire il lavoro nero e lo sfruttamento, obiettivo molto propagandato dalle chiacchiere governative, ma inesistente nei fatti.

Contro lo sfruttamento, contro il lavoro nero e quello cosiddetto “grigio”, ossia con retribuzioni parzialmente regolari, si è mossa questa estate una categoria di lavoratori tradizionalmente dispersa e frastagliata in mille attività e servizi, quella degli stagionali nei servizi turistici. In questo ambito, contraddistinto da imprese di ogni tipo, anche piccole e piccolissime, il lavoro nero e grigio sono sempre stati diffusissimi, e l’organizzazione dei lavoratori molto difficile. Con l’aiuto dell’Unione Sindacale di Base USB, questi lavoratori hanno provato a coordinare la protesta proponendo “sette punti per dire basta allo sfruttamento”, e attuando il 31 luglio scorso due presidi in località balneari che raccolgono grandi numeri in termini di turismo: Marina di Massa e Rimini. I lavoratori chiedono il rispetto dei turni di riposo e il giorno libero, abusivamente quasi mai concesso dai loro datori di lavoro; dicono basta alle basse retribuzioni orarie e al lavoro nero e grigio; chiedono l’aumento dei salari, che stagnano dai 5 euro agli 8 euro l’ora, senza ulteriori decurtazioni se il padrone fornisce anche vitto e alloggio, con l’istituzione di una base minima e un solo Contratto Nazionale; dicono basta con il demansionamento e il sottoinquadramento; basta al lavoro gratis: tirocini, stage, alternanza scuola-lavoro e quant’altro. A questo scopo hanno lanciato una campagna nazionale a sostegno della loro piattaforma. E’ la strada giusta, e l’unificazione degli obiettivi è la condizione basilare per il loro raggiungimento. E’ anche l’unico modo di occuparsi della realtà, al di là delle chiacchiere.

Aemme