Tutti i governi, nessuno escluso, ci hanno abituato all’utilizzo dei dati statistici per far loro dire quello che, presi per sé, non possono dire. Così, il rapporto Istat sull’occupazione, reso noto lo scorso primo luglio, ha dato il via libera a una serie di dichiarazioni trionfalistiche di Salvini e Di Maio. Mai così tante forze di lavoro occupate dal 1977! Ora i successi delle politiche economiche e sociali del governo giallo-verde si toccano con mano!
Ma, come si sa, il diavolo si nasconde nei dettagli. Infatti, se la statistica può “fotografare” come occupato un lavoratore con un contratto part-time da tre mesi, questo non significa un miglioramento delle sue condizioni e tantomeno delle sue prospettive. Nel primo trimestre del 2008 si ebbero in totale 11 miliardi e mezzo di ore lavorate contro i 10 miliardi e 994mila dello stesso periodo nel 2019. Allora però, risultavano 300mila occupati in meno. In altri termini, il lavoro, che è diminuito, si è “spalmato”su un numero più grande di lavoratori. Questo fatto dimostra che ci sarebbe la possibilità di applicare la ridistribuzione del lavoro, secondo una storica rivendicazione del movimento operaio: “lavorare meno, lavorare tutti”. La realtà però è un’altra. Un ampio settore del lavoro dipendente lavora di meno e viene pagato ancora meno.Si tratta dei milioni di precari, in continuo aumento, ai quali andrebbero aggiunti i lavoratori del “sommerso”.
Forse potranno credere alla retorica del governo quei pochi fortunati che non devono affrontare il mercato del lavoro, diventato un vero e proprio percorso di guerra. Ma chi, direttamente o attraverso l’esperienza di figli, parenti o amici, si misura con la realtà delle condizioni di lavoro attuali, sa bene che quest’anno di governo del “cambiamento” non ha veramente cambiato niente. L’assunzione in una fabbrica o in una società di servizi si presenta da subito come una serie di trappole e trabocchetti dove le imprese si ingegnano di togliere ai dipendenti le poche garanzie contrattuali che ancora dovrebbero avere. Una guerra di classe combattuta dai padroni contro i lavoratori fin dal primo giorno.
Questi sono i problemi veri. Poi c’è la propaganda. E di questa fanno parte le insopportabili esternazioni di Salvini, chiaramente costruite con la tecnica che fu di Goebbels e degli altri strateghi della comunicazione nazista. Insultare, mentire, inventarsi nemici immaginari, preferibilmente stranieri, esasperare le paure e premere sul pedale del nazionalismo. Le Organizzazioni non governative? Sono “trafficanti di esseri umani”. Che sono in combutta con gli scafisti. Poco importa che non ci sia uno straccio di prova a sostegno di questa tesi. Calunnia, calunnia, qualcosa rimarrà. Gli immigrati? Sono tutti dei clandestini. Sono dei giovanottoni venuti qui per fare la pacchia sulle spalle degli italiani. Chi se ne frega se esistono tonnellate di rapporti sulle torture che subiscono nei campi libici. Chi se ne frega se gran parte dell’agricoltura “italianissima” si basa sullo sfruttamento più bestiale degli immigrati, senza che il Ministro leghista dell’agricoltura abbia mosso un dito per combattere il caporalato. La capitana del Sea Watch? Una ricca tedesca che non sa come passare il suo tempo e che ha “attentato alla vita dei nostri marinai”. Tutte balle, naturalmente.
Ma sarebbe un errore vedere le sparate di Salvini, più o meno avallate dai suoi alleati dei 5 Stelle, soltanto come mezzi per distrarre le masse dai veri problemi. Certo, questo è il motivo per cui si è costruito una specie di “razzismo di stato” di cui oramai esistono mille esempi concreti. Certo, questo fa ancora di Salvini uno zelante e utile servitore del capitale italiano. Ma esiste anche un effetto incontrollabile del veleno nazionalista e xenofobo, che agisce oltre e al di là delle motivazioni che lo hanno generato.
Per questo è importante che i lavoratori più coscienti si oppongano a questo veleno. È importante che si moltiplichino le occasioni per manifestare solidarietà con gli immigrati e che si diffondano le idee internazionaliste. La condizione operaia oggi in Italia attesta in modo inequivocabile che per i padroni, per consentire loro di mantenere e accumulare nuovi profitti, niente è disdicevole, niente e vergognoso. Il numero crescente di infortuni e di morti sul lavoro, che affratella nella disgrazia operai nati in Italia con operai “stranieri”, lo conferma. Per i padroni, per il gran capitale e per chi lo serve noi lavoratori siamo tutti “immigrati”, siamo tutti “clandestini”, siamo tutti “negri”. Gli sventurati che arrivano in Italia rischiando la vita nel Mediterraneo o percorrendo le pericolose rotte terrestri dai Balcani, non sono nostri nemici. Il nostro nemico è il grande capitale, cominciando da quello italiano, che ha spesso una responsabilità diretta nelle guerre, nella devastazione ambientale, nel sostegno a dittatori sanguinari, nella rovina delle economie locali che costringono alla fuga milioni di esseri umani incolpevoli.