La serie inesorabile delle morti sul lavoro

Per avere una prima, approssimativa idea delle dimensioni della strage che si consuma tutti gli anni, tutti i mesi e tutti i giorni nei luoghi di lavoro, basta accendere il computer e cliccare su “Google” le parole “incidente mortale sul lavoro”. Ecco qualche esempio di quello che si può leggere: 12 giugno, un operaio di 49 anni muore al terminal 2 di Malpensa schiacciato da un muletto. 15 giugno, un lavoratore albanese di 53 anni muore schiacciato da una catasta di pancali alla Bormioli, vicino a Rovigo. 21 giugno, a Pomigliano d’Arco muore un muratore di 50 anni cadendo da un’impalcatura. Lo stesso giorno muoiono altri due operai: a Nova Milanese un 35enne colpito da un tubo metallico e a Gioia Tauro viene schiacciato da una gru un operaio di 42 anni.

Naturalmente, affinando i criteri di ricerca si trovano molti più casi. Del resto, i numeri, quelli ufficiali, parlano chiaro: nel primo quadrimestre 2019 i morti sul lavoro sono stati il 5,9% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2018, per altro, c’era stato un incremento del 10% sul 2017.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), riferisce che su 20.942 aziende ispezionate nel 2018, 16.394, ovvero il 78,2% erano irregolari. Lo stesso rapporto INL parla di 31.218 violazioni di cui 26.885 di natura penale.

Spesso è scartabellando tra i rapporti di questi enti che si trova il ritratto più realistico del capitalismo italiano. Poco attraenti, con un retrogusto “burocratico”, certo non scritti per accattivarsi i consensi del pubblico, i rapporti dell’INL, come quelli dell’Associazione dei mutilati e invalidi del lavoro o quelli della stessa Guardia di Finanza, agli occhi di un lettore attento, permettono di farsi un’idea di che cosa stia dietro al mondo delle imprese italiane. La diffusione degli abusi e delle illegalità ha una tale dimensione che si può assumere come carattere strutturale del capitalismo nazionale, un capitalismo che riesce a stare a galla, nella competizione con i concorrenti più sviluppati, solo inasprendo al massimo le condizioni lavorative.

Per quanto le ipocrite dichiarazioni delle varie “autorità” sostengano il contrario, non è questione di “cultura della sicurezza”, è questione di sfruttamento dei lavoratori per mantenere invariati i profitti.

R. Corsini