Riparliamo di riduzione dell’orario di lavoro

Nell’ultimo decennio “Lavorare in meno, lavorare molto di più” è la fotografia deformata delle condizioni di lavoro, vista da un’indagine dell’Istituto di ricerca socio-economica Censis. Si lavora in pochi, si lavora troppo.


Secondo l’Ocse, in Italia i sottoccupati sono più che raddoppiati dal 2006. Complice la crisi economica mondiale e la legislazione incondizionatamente favorevole alle imprese, la quota di lavoratori sottoccupati in Italia “è ora la più alta tra i Paesi Ocse” (Il Fatto Quotidiano, 25.4.19). E infatti i contratti a tempo determinato sono arrivati ormai al 15,4% di tutti i contratti da lavoro dipendente, contro una media dei Paesi Ocse dell’11,2%; mentre i contratti a tempo parziale breve, da 1 a 19 ore settimanali, rientrano nella media Ocse, anzi sono leggermente inferiori: 15,2% contro una media Ocse del 15,9% - a riprova che i cosiddetti “lavoretti”, a volte unica fonte di reddito, a volte a integrazione e complemento di altri “lavoretti”, formano una parte consistente del reddito in tutti i 35 Paesi membri.

Nonostante i palliativi indicati di volta in volta da economisti, politologi ed esperti vari, rimedi tipo la formazione permanente e l’aggiornamento, per rendere disoccupati e sottoccupati più “appetibili” sul mercato del lavoro, i meccanismi che dominano nello stesso mercato – tutti volti ad ampliare la discrezionalità nelle assunzioni e nei licenziamenti – fanno sì che non sia difficile essere assunti con mansioni inferiori ma lavorare in realtà con mansioni superiori, come peraltro essere assunti a un orario inferiore rispetto a quello realmente prestato. Con quali esiti finali? Alla fine della fiera, c’è un vasto bacino di gente disposta a lavorare in pratica a qualsiasi condizione, e usata sistematicamente a tempo determinato o part-time, e la restante platea degli occupati, che si è ritrovata negli anni della crisi a subire un coerente, esponenziale aumento dei ritmi di sfruttamento.

Secondo il Censis, il 50,6% dei lavoratori afferma che negli ultimi anni “si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità”. Stiamo parlando dei lavoratori cosiddetti “garantiti”, assunti con le tutele dell’art. 18 o nella Pubblica Amministrazione, in genere oltre i 50 anni di età e con lunghe anzianità di servizio. È una delle caratteristiche fondanti dell’economia capitalistica la creazione di ampi spazi di disoccupazione per un “esercito industriale di riserva” e il contemporaneo sfruttamento intensivo degli occupati. E in effetti "Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni lavorano di domenica e festivi, 4,1 milioni lavorano da casa oltre l'orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l'orario senza pagamento degli straordinari. E con effetti "patologici rilevanti": 5,3 milioni provano sintomi di stress da lavoro (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a sé stessi 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo” (La Repubblica Economia, 30.1.19). D’altra parte, sottolinea il Censis, vent’anni fa i lavoratori dai 15 ai 34 anni erano il 39,6% degli occupati, nel 2017 erano scesi al 22,1%. Paradossalmente, le generazioni più anziane sono chiamate a sostenere un carico di lavoro sempre più pesante, a livelli salariali sempre più bassi (“rispetto al 1998, nel 2016 il reddito individuale da lavoro dipendente degli operai è diminuito del 2,7% e quello degli impiegati si è ridotto del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%”). Al contempo, le nuove generazioni sono umiliate da lunghi periodi di disoccupazione o sottoccupazione.

In questo contesto si inquadra l’uscita del nuovo presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, docente di Economia all’Università Roma 3, eletto al posto di Boeri in quota 5 Stelle: probabilmente come corrispettivo dopo che i 5 Stelle avevano votato contro l’incriminazione di Salvini per il caso Diciotti, la nave carica di migranti sequestrata in porto per giorni prima di consentirne lo sbarco. Tenendo una lezione sulle diseguaglianze nel capitalismo finanziario alla Facoltà di Economia della Sapienza, a Roma, ha perorato una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: “Non ci sono riduzioni da 50 anni e invece andrebbero fatte” ha dichiarato (La Repubblica Economia, 11.4.19) “per aumentare l’occupazione e incentivare la riorganizzazione produttiva delle imprese”. Il professore rispolvera uno dei punti del famoso programma elettorale 5 Stelle - poi abbandonato come altri nell’annacquamento generale delle proposte, dopo l’inevitabile confronto con la realtà - con lo scopo piuttosto evidente di farne uno fra i tanti argomenti elettorali. Fatto sta però che nessun sindacato o movimento organizzato dei lavoratori ha rilanciato, in questi anni drammatici di crisi, la rivendicazione della riduzione di orario di lavoro a parità di salario, che pure è stata una parola d’ordine storica del movimento operaio. I lavoratori non dovrebbero farsi scippare da altri il loro patrimonio di lotta, fondamentalmente perché ha un senso, un peso e una speranza di essere realizzato solo se è sostenuto dai lavoratori stessi e dalle loro battaglie: non merita di essere umiliato come un semplice arnese, buono per il periodo delle elezioni, pronto a essere messo da parte subito dopo.

Aemme