I giochi di prestigio elettorali ingannano sempre meno gente
Gli ultimi sviluppi della vicenda TAV hanno mostrato alla pubblica opinione che i due partiti al governo sono disposti a qualsiasi capriola, a qualsiasi vergognosa pantomima, a qualsiasi cavillo da azzeccagarbugli pur di conservare la poltrona. Almeno fino alle elezioni europee. Se il governo resisterà veramente fino ad allora nessuno può dirlo, ma l’intenzione, sia di Salvini che di Di Maio, è quella.
Qualcosa del meccanismo di consenso di massa, però, scricchiola. Alle elezioni regionali in Abruzzo il 10 febbraio e, due settimane dopo in Sardegna, ha votato poco più della metà degli aventi diritto. Il Movimento 5 Stelle ha subito un tracollo, ma nessuno può cantare vittoria. La volatilità dei consensi elettorali è un segnale allarmante anche per la Lega che non sfonda in Sardegna e che si trova a fare i conti con coalizioni di centrosinistra in ripresa rispetto alle elezioni politiche del 2018.
I prossimi mesi vedranno un aggravarsi della crisi e delle sue conseguenze sociali.Tanto i partiti di governo quanto quelli di opposizione dovranno lambiccarsi alla ricerca di nuovi modi di ingannare le masse, cercando di nascondere la sostanza di classe, l’aspetto sociale di uno scontro che, al momento, si gioca solo a vantaggio della grande borghesia e a detrimento dei lavoratori, dei disoccupati, dei giovani, ma anche di settori della piccola borghesia produttiva, come i pastori sardi o i contadini siciliani.
Gli ultimi dati Istat hanno reso noto che il fatturato della produzione industriale è sceso del 7% su base annua. Le fabbriche continuano a chiudere i cancelli. L’OCSE, in un’analisi diffusa il 6 marzo, prevede per l’Italia un 2019 con il Pil in decrescita. Il primo ministro Conte aveva invece pronosticato un anno “bellissimo”.
E per qualcuno è stato già “bellissimo” il 2018 e resterà tale anche il 2019: la grande borghesia continua ad arricchirsi, fuori dal radar delle superficiali polemiche politiche da dibattiti televisivi. Scrive il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria: “il 2019 sarà pure un anno complicato, nel quale il nostro Paese rischia una nuova dolorosa recessione, ma nei dodici mesi che ci siamo lasciati alle spalle le aziende quotate sul listino milanese hanno nonostante tutto continuato a realizzare utili, una fetta crescente dei quali finirà di qui a qualche mese di nuovo nelle tasche degli azionisti sotto forma di dividendo”. Si parla di 22 miliardi! Un 3,4% in più rispetto all’anno precedente, che già aveva segnato un boom.
Ed è, appunto, l’unico boom che ci si può aspettare, perché quello vagheggiato da Di Maio e Conte non lo vedremo nemmeno col cannocchiale.
La classe lavoratrice deve imporre con la lotta delle rivendicazioni che diano una risposta immediata alla necessità di sottrarsi all’incubo della disoccupazione e alle paghe da fame. I soldi ci sono, come riconoscono gli stessi organi d’informazione della grande borghesia. Bisogna prenderli in primo luogo dai profitti!