Dal balcone alla realta’

Ormai è ufficiale: la povertà non è stata abolita. Malgrado le assicurazioni e i sorrisi a tutta dentatura di fine settembre, la strada verso il reddito di cittadinanza è incerta e irta di ostacoli. Nemmeno la legge Fornero ha visto il suo epilogo: dal referendum sulla sua totale abolizione, promosso in tempi ormai lontani dalla Lega, alle finestre di Salvini, ce ne corre…


Dopo aver affidato le proprie fortune elettorali alle due misure cardine: reddito di cittadinanza e abolizione della legge Fornero sulle pensioni, evidentemente non era proprio possibile sottrarsi all’obbligo di “fare qualcosa”. A tirare la corda con l’Unione Europea i nuovi governanti ci hanno provato, giusto il tempo di far vedere che la colpa delle inevitabili inadempienze non si poteva addebitare al Governo, modello di buona volontà attaccato dai burocrati di Bruxelles; una volta espletata questa spiacevole formalità, non restava che presentare con fanfare adeguate i tanto attesi provvedimenti, per quanto così ampiamente ridimensionati nella forma e nei contenuti che stavolta nessuno se l’è sentita di presentarli come la sconfitta della povertà e l’affossamento della Fornero.

Dal momento che le domande per l’assegnazione del reddito di cittadinanza – cavallo di battaglia dei 5 Stelle - andranno presentate entro marzo, per essere esaminate ed eventualmente dar corso all’erogazione entro aprile, il bacino degli utenti interessati al momento non è calcolabile con precisione, per quanto probabilmente non si discosterà molto dai precedenti percettori del REI, reddito d’inclusione del Governo precedente. Anche la logica per la percezione del sussidio non è molto diversa, dato che considera parametri simili (reddito ISEE disponibile, patrimonio immobiliare e mobiliare, componenti del nucleo familiare). In compenso, a differenza del REI, che prevedeva un progetto personalizzato per “l’attivazione sociale e lavorativa”, il percorso del reddito di cittadinanza dispone davanti al percettore un percorso più ostico, con una serie di precisi paletti, che dovrebbero impedire – stando alle intenzioni dichiarate – la sua stabile permanenza a oziare sul divano. Di qui, l’obbligo di consacrare otto ore settimanali a non meglio precisati “lavori utili alla comunità”, e due ore al giorno (non è chiaro come misurate) alla ricerca “attiva” di un lavoro; dopodiché si va a chilometri: dopo sei mesi, si deve accettare un lavoro disponibile entro 100 km. dal luogo di residenza, da 12 a 18 mesi entro 250 km., e dopo i 18 mesi ovunque in Italia. Occhio poi a non dichiarare il falso o a omettere di comunicare le variazioni: perdere il sussidio è un attimo, e al peggio si rischiano anche sei anni di galera. Va da sé che prima vengono gli italiani, ragion per cui per ottenere il reddito di cittadinanza gli stranieri dovranno essere stabilmente residenti sul territorio nazionale da almeno 10 anni (il REI ne prevedeva 2). E, naturalmente, ancora prima vengono le imprese, che potranno usufruire (senza limiti di reddito, patrimonio, etc.) di sgravi fiscali, qualora assumano un titolare di reddito di cittadinanza e non lo licenzino per 24 mesi. Se il tizio in questione trova lavoro mediante un’agenzia privata, impresa e agenzia si spartiranno gli sgravi al 50%.

Va da sé che, dopo il braccio di ferro con l’Europa, i soldi disponibili per la misura - inizialmente previsti in 15 miliardi circa – sono passati a meno della metà: 6,1 miliardi, che declassano il provvedimento da sussidio universale a misura per pochi selezionati. Sottoposta peraltro a clausola di salvaguardia: andassero male le stime di crescita, o basta col sussidio o imposta IVA al 26%.

Sorte simile per l’altro “provvedimento cardine”, il cavallo di battaglia dei leghisti, cioè le pensioni quota 100. Quota 100 le pensioni non sono, né mai saranno, anche rispettando i due paletti previsti di 62 anni di età e 38 anni di lavoro, che dovranno essere comunque superati. Chi li ha già raggiunti nel 2018, dovrà aspettare aprile per andare in pensione, e se è dipendente pubblico dovrà aspettare altri tre mesi, fino ad agosto. Dopodiché, la legge Fornero è tuttora viva e vegeta, e funziona regolarmente qualora non si intenda usufruire del cosiddetto pensionamento anticipato secondo le nuove norme. Norme che avranno la durata di tre anni, cioè soltanto fino al 2021, e che lasciano comunque il dubbio sul loro futuro: che succede se i fondi non dovessero essere sufficienti per i prossimi anni? Già ora si prevedono gli stanziamenti ipotizzando un’adesione dell’85% dei futuri pensionandi, visto che comunque la pensione verrebbe decurtata dei rendimenti inferiori dovuti all’anticipo; stante il magro importo del calcolo contributivo, per molti potrebbe essere gioco forza rassegnarsi ai tempi della legge Fornero. Su questo contano i ragionieri del Bilancio statale, ma non è detto che sia un calcolo esatto. In ogni caso, le meraviglie di quota 100 della campagna elettorale sono sfumate in un confuso se e ma.

Dati i risultati, veramente possono apparire credibili le forze populiste che governano attualmente il nostro Paese? Mentre affondano nel Mediterraneo i barconi sfondati dei migranti che cercano di raggiungere semplicemente la sopravvivenza, e vengono respinti verso i campi lager della Libia quando non finiscono in fondo al mare, valeva davvero la pena pagare questo prezzo per la miseria di simili risultati? La storia ci dimostra che credere negli effetti salvifici di un cambiamento di Governo è tanto più ingannevole, quanto meno si prende atto che le uniche conquiste certe sono quelle ottenute mettendo in atto la forza e l’organizzazione concreta delle lotte: tutto il resto va e viene. Davvero servono altre dimostrazioni?

Aemme