Contro la povertà, la disoccupazione, la precarietà e i bassi salari
Quello francese dei “gilet gialli” non è il primo e non sarà certo l’ultimo movimento di protesta e di rivendicazione sociale da quando, un decennio fa, è cominciata la crisi.
Della crisi e dell’economia in generale si offre continuamente al pubblico una rappresentazione addomesticata. Le crisi sono raccontate come il risultato di errori di politici e banchieri. Errori che una giusta politica potrebbe correggere. Ma le cose non stanno così. Il cuore del problema è il capitalismo come sistema economico, un sistema per definizione non pianificabile e quindi imprevedibile. Un sistema caotico e contraddittorio. L’accentuazione della componente finanziaria dell’economia, risultato di una ricerca spasmodica di profitti che il solo settore produttivo non può più assicurare, ha prodotto a sua volta crisi sempre più drammatiche e frequenti e periodi di “ripresa” sempre più brevi. Secondo una recente analisi dell’Esma, l’agenzia comunitaria che dovrebbe vigilare sulla “correttezza” degli scambi finanziari, il volume mondiale dei soli titoli cosiddetti derivatisi avvicina a quattro volte le stime precedenti e ha raggiunto i 2,2 milioni di miliardi di euro. Una cifra sbalorditiva, che è 33 volte il Pil planetario, interamente basata, di fatto, su scommesse sull’andamento dei titoli “sottostanti”, emessi da imprese o da stati. Una vera e propria bomba a orologeria sulla quale è seduta la popolazione di tutto il mondo. Nessuno, naturalmente, è in grado di controllare questa immensa massa di denaro.
I governi nazionali e le stesse autorità europee possono al massimo cercare di favorire questo o quel “giocatore” nel casinò mondiale in cui si è trasformata l’economia capitalista, possono cercare di limitare i danni, ma certo non possono governare un fenomeno di queste dimensioni.
In questo quadro, la battaglia europea sui budget di stato, che ha tanto impegnato il “governo del cambiamento” italiano, ha varie facce. I gruppi capitalistici dominanti di ogni paese hanno interesse a non dilatare il debito pubblico oltre una certa misura ma, nello stesso tempo, cercano di accaparrarsi quanto più possibile del tesoro dello stato. In mezzo a queste due spinte contrastanti rimane schiacciata la classe operaia e in genere tutti i ceti popolari. La demagogia della Lega e dei Cinque Stelle non scalfisce questa regola. I provvedimenti sociali annunciati all’inizio della legislatura si sono sgonfiati, mentre la disoccupazione, i bassi salari e la precarietà continuano a rappresentare la realtà in cui vivono i lavoratori. La diffusione a piene mani della xenofobia e del razzismo da parte del governo non può portare nessun vantaggio ai lavoratori italiani mentre contribuisce a trasformare la vita degli immigrati in un inferno.
Ribellarsi a tutto questo si può. Il movimento dei “gilet gialli” ha qualche cosa da insegnarci: mobilitarsi è possibile, organizzarsi si può. Contando solo sulle proprie forze e senza subordinare le proprie rivendicazioni alle “compatibilità” stabilite per noi dalle classi capitalistiche e dai loro professori.