Sembrava che il nazionalismo del primo ministro Viktor Orban avesse messo in sordina i contrasti di classe della società ungherese. Le manifestazioni di massa, quattro a distanza di poco tempo, che si sono tenute a Budapest e in altre città del paese hanno messo le cose sotto la giusta luce.
Lavoratori, ma anche studenti, hanno protestato, e continuano a farlo perché la mobilitazione non è finita, contro due leggi recentemente approvate. Quella dal carattere più marcatamente classista è la “Legge della schiavitù”, come l’hanno prontamente battezzata i lavoratori ungheresi. Si tratta di un provvedimento che porta a quattrocento le ore annue di straordinario che un imprenditore può esigere da un lavoratore. In pratica significa allungare di un giorno la settimana lavorativa. Come se non bastasse, viene data la possibilità alle imprese di pagare queste ore supplementari fino a tre anni dopo che sono state lavorate. Il tutto affidato ad una contrattazione diretta tra dipendente e azienda, senza passare per una contrattazione collettiva.
La protesta, secondo molti commentatori ungheresi “è un fatto senza precedenti”. Il 16 dicembre hanno sfilato in 15mila a Budapest ma si sono avuti cortei anche in altre città. Si trattava della quarta giornata di una mobilitazione alla quale si è dato un nome: “Buon Natale signor Primo Ministro”. Tutto però fa pensare che la lotta continuerà anche nel nuovo anno.
Un ampio ventaglio di forze politiche, da destra a sinistra, si trova a sfilare e a solidarizzare con i manifestanti. I sindacati sono tra gli organizzatori. È evidente però che un’indignazione forte e ampia s’è diffusa tra molti ceti sociali, oltre che tra i lavoratori salariati. Non si tratta solo di qualcosa di “orchestrato”, come fanno intendere i portavoce del governo. GergelyGulyas, capo gabinetto di Orban ha parlato delle manifestazioni come opera dei “fedeli di Soros” che “odiano apertamente i cristiani”. Argomenti che richiamano quelli della propaganda antisemita hitleriana o quella delle famigerate “croci frecciate”, il partito nazista ungherese di FerencSzalasi, tutta incentrata sul preteso “complotto” internazionale degli ebrei e sulla difesa dei “valori occidentali”. Più pragmaticamente, il ministro degli Affari esteri, Peter Szijjartò, ha giustificato i provvedimenti antioperai sostenendo che le imprese straniere, soprattutto tedesche, facevano da tempo pressioni sul governo per attenere questa “riforma” del codice del lavoro. In effetti seimila aziende tedesche, tra cui Audi e Mecedes, operano attualmente in Ungheria. Bassi salari e, contemporaneamente una manodopera che costa meno di un quarto di quella tedesca, pur essendo addestrata al lavoro industriale moderno. Non si tratta del terzo mondo. E oltretutto alle porte di casa! Anche l’Italia, sia pure con proporzioni più piccole, non si è fatta sfuggire il ghiotto boccone: il “sistema Italia” in Ungheria frutta due miliardi e mezzo di fatturato a più di duemila imprese.
La seconda legge che ha indignato gran parte della popolazione ungherese prevede l’istituzione di un sistema di tribunali amministrativi, direttamente dipendenti dagli organi governativi, che dovrebbero occuparsi di questioni come la legge elettorale, la corruzione o il diritto a manifestare. Da qui all’instaurazione di una dittatura ci corre veramente poco.
In un primo tempo, forse, il richiamo al “sangue” ungherese, condito con scorribande di gruppi neofascisti contro le minoranze etniche e la chiusura delle frontiere all’immigrazione, hanno sostituito, come una droga, le rivendicazioni di giustizia sociale. Ma ora, qui, come in Austria e in Italia, diviene sempre più chiaro che le forze nazionaliste e xenofobe sono nemiche dei lavoratori, cominciando da quelli del proprio paese.
R. Corsini