Nelle nuove emergenze il sindacato sembra muto, o tutt’al più non afono ma ininfluente. Crollano gli iscritti, soprattutto nel sindacato maggiore, la Cgil, alle prese con il suo diciottesimo congresso: una celebrazione - se possibile - ancora più farsesca che nelle passate edizioni
A inizio autunno, in concomitanza con la ripresa delle assemblee di base del Congresso Cgil, l’Istituto Demoskopika, su dati forniti dagli stessi sindacati, ha pubblicato un’indagine secondo la quale “la fuga dei lavoratori dai sindacati prosegue senza sosta e negli ultimi due anni le organizzazioni dei lavoratori hanno perso quasi mezzo milione di iscritti”. Per la maggior parte sono iscritti del maggior sindacato italiano, la Cgil, ben 285.000 iscritti in meno; calano anche gli iscritti alla Fiom, federazione dei metalmeccanici, da sempre la più combattiva. Segue la Cisl, con 188.00 tesserati in meno; aumenta – seppur di poco – la Uil, con 26.000 iscritti in più. Per riassumere, dalla fine del 2015 alla fine del 2017 le iscrizioni si sono ridotte di 447.000 unità, ben 293.00 delle quali mancano dal Sud, dove le condizioni di sfruttamento sono ancora più marcate, e dove di un sindacato funzionante ci sarebbe paradossalmente più bisogno; ma anche dove la disoccupazione ha numeri sempre più alti. Lo studio non tiene conto del sindacalismo di base e del suo seguito; ma descrive già così esplicitamente la crisi di rappresentanza che la classe operaia subisce, anche semplicemente nella manifestazione classica dei suoi bisogni economici essenziali. Non è un dato incoraggiante, e non perché la Cgil dispone di meno soldi per foraggiare i suoi burocrati; lo è perché evidenzia lo stato di scoraggiamento e di sfiducia dei lavoratori nei confronti delle proprie organizzazioni, e lo è perché i lavoratori hanno tutte le ragioni di non riporre la propria fiducia in organizzazioni che ormai da almeno un quarto di secolo sono state capaci di assicurare solo sconfitte, molto spesso in assenza di qualsiasi lotta adeguata. E per quanto la Cgil continui a tenere sul piano organizzativo, non ha evidentemente più voce in capitolo nel rapporto di forza con il padronato.
Abbiamo già parlato delle assurdità contenute nel documento presentato dalla maggioranza alle assemblee di base del Congresso Cgil; nonostante lo stato miserando delle condizioni del lavoro in Italia, la Cgil vaneggia di Carte dei diritti, Europa sociale, valori, democrazia, eccetera eccetera. La minoranza ha tentato ancora una volta di riportare la discussione su basi concrete e di affrontare almeno una discussione, per fare i conti con le sconfitte e spostare i termini della questione sul piano della costruzione dei rapporti di forza nei luoghi di lavoro…il risultato non è stato molto dissimile dai precedenti congressi, con l’ulteriore complicazione di non avere quasi rappresentanza negli organismi, e di dover organizzare la presentazione del documento nelle assemblee per lo più con militanti di base. In queste condizioni, l’uso e l’abuso dei soliti stratagemmi per cancellare la presenza di posizioni diverse o per gonfiare le presenze alle assemblee è stato praticato a man bassa, con risultati a volte perfino comici: assise piene (ma quando mai?) in assenza di presentatori del documento di minoranza, e gruppetti sparuti in posti di lavoro dove venivano presentati entrambi i documenti. Chissà perché!
Metodi di questo genere possono servire a confermare e pilotare gruppi dirigenti e posti a tempo pieno, non a conquistare o a riconquistare la fiducia di iscritti o potenziali tali. E soprattutto non riporteranno la Cgil a pesare nei rapporti di forza: passata la stagione della concertazione, quando questa grande burocrazia si illudeva di contare qualcosa svendendo i diritti dei lavoratori, passato anche il tentativo di fare la voce grossa - senza farla precedere dai fatti - quando ormai la china era in salita, difficilmente potrà dettare agende al Governo, o convincere i più che iscriversi al sindacato conti ancora qualcosa, a parte avere chi ti compila la denuncia dei redditi…
Un gruppo dirigente senza sostanza può ancora manipolare qualche segmento di una classe operaia disorientata, che rischia di assuefarsi alle sconfitte e di accontentarsi delle briciole. Ma al momento c’è chi a manipolarla è anche più bravo. Basti pensare alla penosa questione della legge Fornero: per difendere le pensioni tutto quello che i sindacati confederali sono stati a suo tempo capaci di mettere in campo sono state tre ore di sciopero senza manifestazione. All’epoca, Camusso proclamò: “Non è detto che sia finita e che lo sciopero di oggi sia l'unico”, ma tale purtroppo è restato. Invece di lottare, molti operai si sono acconciati a votare Lega, sperando di aggirare l’ostacolo e di riprendersi le pensioni. A oggi resta incerto il risultato, ma l’inadeguatezza del sindacato – in questa come in altre occasioni – risulta quanto meno lampante.
Sulle pensioni, tra l’altro, si è espresso di recente anche il Fondo monetario internazionale, che – mentre taglia le stime di crescita del prodotto interno lordo italiano – avverte: “In Italia le passate riforme pensionistiche e del mercato del lavoro dovrebbero essere preservate e ulteriori misure andrebbero perseguite, quali una decentralizzazione della contrattazione salariale per allineare i salari con la produttività del lavoro a livello aziendale”. (La Repubblica Economia, 9.10.18) Alla fine della fiera, senza restituirci le pensioni, non è detto che non tentino di sottrarci anche i brandelli di quel che resta del contratto nazionale di lavoro, per allineare i salari con la produttività del lavoro a livello aziendale, accontentando padroni e “mercati”.
Per contrastare gli uni e gli altri, vale sempre la prassi verificata infinite volte: la lotta paga. Da una sconfitta dopo una lotta si può sempre imparare, da una sconfitta senza lottare non rimane niente.
Aemme