Ribellarsi è urgente e necessario

In tutti i Paesi avanzati le nuove generazioni hanno visto abbassarsi i loro redditi. La crisi ha permesso l’acceleramento di un processo che agisce come un rullo compressore sule condizioni di vita e di lavoro future. Se non vorranno vederle precipitare, queste stesse nuove generazioni hanno l’esigenza di reagire oggi, non di aspettare “tempi migliori” (che probabilmente non verranno)


Abbiamo dovuto ascoltare di tutto, in questi ultimi anni, comprese le infinità di fandonie sui presunti privilegi di cui le vecchie generazioni godrebbero alle spalle delle nuove generazioni; pretesti che hanno fatto da indecoroso argomento per giustificare gli attacchi ai salari e alle pensioni, senza che peraltro la condizione giovanile se ne avvantaggiasse minimamente. Anzi. E’ anche accusando di privilegi le vecchie generazioni di lavoratori che è stato possibile spogliare dei loro diritti i lavoratori delle nuove generazioni. Ed è proprio sulla base dell’assistenza che le famiglie depositarie degli antichi “privilegi” hanno potuto offrire ai loro figli, che è stato possibile deprivare questi stessi figli delle forme di lavoro più tutelate per avviarli sulla strada del precariato a vita, senza temere troppe ripercussioni sul piano dello scontro sociale.

Premesso che la realtà dei giovani è riscontrabile anche osservando semplicemente quello che ci accade intorno, comunque non è superfluo disporre di dati certi. Diverse fondazioni e società di consulenze si sono prodigate di recente in una serie di inchieste per appurare il livello di reddito giovanile e le sue prospettive future. Secondo la società di consulenza McKinsey, il 65-70% dei nuclei familiari dei Paesi avanzati ha visto i propri redditi calare rispetto alle generazioni precedenti, o nel migliore dei casi rimanere invariati. In Italia la condizione è ancora più critica, probabilmente per la particolare struttura dell’impresa italiana, costituita per lo più da piccola e media impresa (Il Sole 24 Ore, 12.10.17). Fatto sta che nel giro di quarant’anni il tasso di occupazione giovanile in Italia è sceso di venti punti, e anche chi un lavoro ce l’ha, in un caso su dieci è povero: il reddito dei figli è in media inferiore del 36% a quello dei genitori. L’agenzia europea Eurofound - “per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro” - ha analizzato i cambiamenti della struttura occupazionale e le disuguaglianze salariali. A quanto pare “in Italia per l’intero quinquennio 2011-2016 l’occupazione è cresciuta grazie a un aumento dei posti meno pagati (cioè il 20% dei lavori retribuiti con gli stipendi più bassi)”, molti dei quali sono occupati da lavoratori provenienti da Paesi extraeuropei o da altri Paesi UE. In più, probabilmente ancora per la particolare composizione industriale italiana, il calo delle retribuzioni è evidente anche per i posti ad alta specializzazione – sempre che ci sia un posto di lavoro a disposizione. I laureati in Italia guadagnano meno che all’estero, particolare che il Ministero per lo Sviluppo economico ha addirittura decantato per …attirare gli investimenti stranieri in Italia! E mentre i giovani laureati aspettano questi ipotetici investimenti, è bene che evitino di cadere nella trappola del senso di colpa e di inadeguatezza, come sembra suggerire il rapporto Istat pubblicato a fine ottobre, che avverte: “6 giovani disoccupati su 10 non sono disposti a trasferirsi”. D’altronde, negli ultimi due anni il 51,7 % dei laureati e il 64,4% dei diplomati è stato occupato in lavori atipici. Rincorrere lavori atipici aggiungendo gli oneri di un trasferimento forse non è sempre vantaggioso...

Sarà per tutti questi motivi che l’ennesima indagine (di Monster, un portale di ricerca lavoro on line) ci informa che un giovane su due è convinto di raggiungere un reddito inferiore, o molto inferiore, rispetto a quello delle generazioni precedenti, e come abbiamo visto è un’opinione del tutto aderente alla realtà.

Se gli stipendi sono bassi, e se il sistema pensionistico prevede un legame diretto tra reddito e pensione futura; se inoltre il lavoro è precario, part-time o discontinuo; se è alta l’età nella quale si raggiunge una certa stabilità occupazionale… è inevitabile pensare a come potrà essere la vecchiaia di coloro che ora sono giovani. E’ un argomento che abbiamo toccato molte volte, ma vale la pena ribadire che raggiungere un reddito capace di mettere al riparo dalla miseria non è soltanto difficile oggi; sarà ancora più difficile domani.

Essere consapevoli della propria condizione, e della direzione che potrebbe prendere l’esistenza, è un passo avanti se non include anche il fatalismo e la rassegnazione. E’bene essere consapevoli che i diritti guadagnati in decenni di lotte, spesso sanguinose, non sono privilegi, ma conquiste da difendere con la stessa decisione praticata da chi li aveva ottenuti, e senza sbagliare bersaglio. Il ceto politico porta tutta la responsabilità di schierarsi da sempre dalla parte della classe dominante degli sfruttatori; sono servi ben pagati, è vero, ma non bisogna dimenticarsi dei veri sfruttatori che si nascondono dietro di loro, del grande capitale, delle banche. Si può essere certi che – qualunque promessa sia disposto a fare in campagna elettorale – chiunque ottenga il Governo potrà incarnare soltanto, con toni più o meno marcati, gli interessi di chi ci sfrutta. E indicherà di volta in volta un nemico fasullo su cui far convergere la rabbia e il malcontento: le passate generazioni, i governi passati, gli immigrati, gli altri Stati, gli stranieri in generale, etc. etc. O indicherà i suoi propri rimedi, di solito peggiori del male. Il mezzo giusto resta solo uno: organizzarsi per lottare, con la consapevolezza di avere problemi comuni e obiettivi comuni. Dunque, perché illudersi che le soluzioni siano individuali?

Aemme