DI PIU’ ALLE IMPRESE…DI MENO AI LAVORATORI

Fra le novità portate dall’estate, in attesa della consueta stretta autunnale, le riflessioni sui nuovi regali da destinare alle imprese, e i calcoli preventivi sull’allungamento dell’età lavorativa. Passando, ovviamente, per i progettati salari legati alla produttività.


Anche il fondo Monetario Internazionale, nel suo ultimo rapporto sull’Italia uscito in piena estate, ha dovuto constatare che nel nostro Paese si guadagna meno di venti anni fa, con i salari e la ricchezza della popolazione in età lavorativa che sono scesi al di sotto dei livelli del 1995. Secondo la stessa fonte, si prevede (ma non si capisce bene in base a quali indicatori) che i redditi percepiti potranno ritornare ai livelli precedenti la crisi soltanto fra una decina di anni. Nel frattempo, la quota degli italiani a rischio povertà è aumentata del 29%, e nel Sud raggiunge addirittura un picco del 44%.

Probabilmente le preoccupazioni del FMI risiedono tutte nei problemi causati da una simile scarsa possibilità di spesa da parte dei salariati; ma la semplice soluzione di aumentare i salari non è applicabile nel mondo del capitale. Dati per fissi e inviolabili i profitti, cosa ne deduce il FMI? Che “occorre innanzi tutto passare dalla contrattazione nazionale a quella aziendale, allineando gli stipendi alla produttività” perché d’altra parte, per quanto si guadagni meno di vent’anni fa: “i salari in generale sono cresciuti più velocemente rispetto alla produzione per lavoratore”. (Il Fatto Quotidiano, 27.7.17). Da qualsiasi fattore dipenda quest’ultimo evento, la soluzione in ogni caso sarebbe soltanto una: nella medesima unità di tempo, se vuole un salario migliore, il lavoratore deve produrre di più. Con quali strumenti, e comunque per quali mercati, non s’ha da sapere; posto che di fatto queste merci, così prodotte in maggior misura, a qualcuno dovrebbero essere vendute. Ne deriva che, dato che i salariati guadagnano meno di vent’anni fa… devono rassegnarsi a guadagnare ancora meno. Devono inoltre adattarsi di buon grado a non andare in pensione, o andarci più tardi, o accontentarsi di pensioni ancora più basse, perché bisogna necessariamente ridurre “la spesa pensionistica, che è al secondo posto nella zona euro”. In questo senso, a quanto pare, non è bastata la diminuzione dell’aspettativa di vita del 2015. Ci dicono che nel 2016 è talmente risalita da permettere l’allungamento dell’età lavorativa di cinque mesi, quindi fino a 67 anni nel 2019, ancora più in là senza dubbio negli anni successivi. Per quanto riguarda i giovani, per loro il trattamento pensionistico non è praticamente previsto. Andranno in pensione – se così si potrà dire – a 70 anni (e oltre?) con pensioni da fame, come succedeva ai loro bisnonni.

E’ un programma che sicuramente Confindustria condivide in toto, e lo ha dimostrato nel corso del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Ma anche il Governo Gentiloni, così come quelli Renzi, Berlusconi, etc. che lo hanno preceduto, si prodiga generosamente in tal senso. Mentre celebra con ottimismo sicuramente poco giustificato un PIL dato in crescita, investimenti dati in aumento e disoccupazione in diminuzione (con ogni probabilità fino alle prossime rilevazioni Istat), il Governo prepara i nuovi provvedimenti “per il rilancio”. I nuovi provvedimenti consistono in una riedizione di ricette vecchie: non paghi dei milioni regalati alle imprese negli anni passati sotto forma di sgravi per le assunzioni a tempo cosiddetto indeterminato, altrimenti detto precarietà indeterminata, e nonostante siano serviti solo a fornire manodopera a buon mercato a tempo oggettivamente determinato, oggi il Governo ci riprova. Preceduti dalla grancassa dell’ “obiettivo occupazione”, ecco i progetti per la prossima Legge di Bilancio. Infatti, come commenta La Repubblica del 1 agosto “le agevolazioni del bonus Renzi, che pure negli ultimi tre anni hanno funzionato, si sono esaurite e si rischia di rimanere senza un incentivo per le nuove assunzioni proprio mentre l’economia sta ripartendo”, dando per scontato che sia indispensabile – crisi o non crisi - un regalino alle imprese per ogni nuovo assunto.

A quanto pare, sarebbero previsti incentivi per l’assunzione di salariati nella fascia di età sotto i 30-35 anni, quella che conta una maggiore incidenza di disoccupati, con una riduzione di tasse e contributi per tre anni; un giochetto che frutterebbe alle imprese un risparmio di 3-4mila euro l’anno per ogni nuovo assunto. Ma siccome ormai alle agevolazioni ci si abitua volentieri, il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sta studiando come rendere il provvedimento “strutturale”, cioè come prolungarlo sine die, magari riducendolo un po’. Il tutto con il pretesto di incentivare l’occupazione stabile…e infatti il 46% dei nuovi posti di lavoro creati dal 2013 ad oggi – quasi la metà - è a tempo determinato!

Aemme