Il 21 agosto 1917, le manifestazioni cominciate nelle zone popolari di Torino per protestare contro le penurie di pane si trasformarono rapidamente in un sollevamento della classe operaia al grido di: “Abbasso i pescecani, abbasso la guerra”. Due anni dopo l'entrata dell'Italia nella guerra mondiale, si diffondeva rapidamente l'idea che bisognava “fare come in Russia”, cioè fare la rivoluzione.
Gli orrori dei campi di battaglia, le privazioni imposte alla popolazione mentre piccoli e grandi speculatori arricchiti dalla guerra ostentavano la loro fortuna, avevano fatto crescere la rabbia contro questo macello. Il malcontento era inasprito dalle penurie alimentari dovute alla mancanza di trasporti ma anche alla speculazione.
L'eco della rivoluzione russa suscitava la speranza nella classe operaia, in particolare a Torino dove si concentrava un proletariato combattivo. Dal marzo 1917, sporadici scioperi e manifestazioni toccarono le imprese metallurgiche e tessili della città. Il nome di Lenin fioriva sulle mura, e quando il 13 agosto due delegati menscevichi venuti dalla Russia tennero un comizio a Torino, dovettero sopportare da parte dei 40.000 operai presenti le acclamazioni entusiasti per… Lenin. Una settimana dopo questa riunione, il 21 agosto, scoppiava il sollevamento generale dei lavoratori della città.
Mario Montagnana, un futuro dirigente del partito comunista, allora operaio alla fabbrica Diatto-Fréjus, racconta nelle sue memorie gli avvenimenti di questo giorno: “La mattina del 21 agosto, il pane mancò quasi completamente in tutta la città. Rientrando dal lavoro a mezzogiorno, la quasi-totalità degli operai non trovò nulla da mangiare (…) Gli operai di molte fabbriche, di cui la mia, decisero allora di non riprendere il lavoro a pancia vuota. Immediatamente il padrone disse che avrebbe fatto arrivare del pane. Gli operai tacquero un attimo, poi gridarono tutti insieme: “il pane ce ne freghiamo, vogliamo la pace!” e “Abbasso la guerra, abbasso i pescecani!„. “
Il movimento rivoluzionario dei lavoratori…
Il giorno dopo, nonostante gli appelli alla calma del governo, trasmessi dalla tendenza più destra del partito socialista, lo sciopero continuò e guadagnò altre fabbriche, mentre gli scontri tra dimostranti e forze di repressione si moltiplicavano. Come nelle strade di Pietrogrado nel febbraio 1917, le donne ebbero un ruolo di primo piano, fermando il traffico dei tram e organizzando la requisizione dei prodotti alimentari nei negozi. La sera del 22 agosto, il governo decise di fare occupare militarmente la Camera del lavoro e di arrestare il suo segretario. Questa scelta fu criticata in questi termini da uno dei rappresentanti dell'ala destra del Partito socialista: “con la decisione di fare occupare i locali delle organizzazioni più responsabili della classe operaia, il governo ci impedisce di svolgere il nostro ruolo di moderazione”.
Secondo gli operai invece, non era l’ora della moderazione e la loro risposta fu unanime: il 23 agosto, lo sciopero generale paralizzava Torino. Mentre il governo faceva occupare militarmente il centro, la classe operaia organizzava l'occupazione di tutte le zone periferiche. Al nord, nella zona di Barriera di Milano, la barricata fu costruita accuratamente ed anche elettrificata, grazie alle competenze di elettricisti anarchici. Gli scontri con le truppe del governo continuarono, in particolare nel centro, e fra gli operai caddero le prime vittime.
…e l'assenza politica delle loro organizzazioni
Mentre il proletariato torinese mostrava tutta la sua determinazione, le sue organizzazioni politiche e sindacali non lanciavano nessuna parola d'ordine. Il 23 si svolse una riunione dei responsabili locali delle organizzazioni operaie. Montagnana vi partecipa, come rappresentante della corrente “massimalista”, cioè teoricamente a favore della conquista del potere, per opposizione al programma “minimo” dei riformisti del PS, e testimonia: “Nessuno, né i riformisti, né i rivoluzionari, tra cui me naturalmente, sapevamo cosa fare, quale parola d'ordine dare alle masse, che volevano la fine della guerra e la rivoluzione”. Questa indecisione riflette l'impotenza politica della corrente massimalista del PS che, non più degli altri, seppe dirigere né condurre la lotta, accontentandosi di fare appello alla continuazione del movimento ed aspettare le direttive delle organizzazioni, che non arrivarono mai. Quanto ai riformisti, cercavano soprattutto di disinnescare l'insurrezione, alla maniera del deputato di Torino che tornò in città per incontrare il prefetto. Quest'ultimo lo trovò “mosso dalle migliori intenzioni e pronto a discutere dell'arresto del movimento”.
Il 24 agosto, gli scontri si svolsero in tutta la città, ma senza un piano generale. Le donne furono ancora ai primi posti: “Disarmate, si lanciavano all'attacco, si afferravano alle ruote dei blindati, tentavano di scalare le mitragliatrici e supplicavano i soldati di gettare le armi. I soldati non sparavano, i loro visi sudati si bagnavano di lacrime. I carri armati finalmente si fermarono” testimoniò più tardi una giovane operaia che aveva partecipato ai combattimenti. Le forze di repressione ebbero bisogno di tutto il giorno per riuscire a domare questa folla disarmata ma decisa. Ci furono 21 morti, un centinaio di feriti e 1500 arresti fra gli insorti.
Dal 25 agosto, lasciato senza prospettive ed isolato a Torino, il movimento cominciò a rifluire e PS e sindacato chiamarono a riprendere il lavoro lunedì 27 agosto. La metà dei lavoratori continuò ancora lo sciopero e ci volle tutta la settimana per fare riprendere tutte le fabbriche.
Dieci anni più tardi, Gramsci riassumeva così il sollevamento di Torino: “Le operaie e gli operai che si ribellarono nell'agosto 1917 a Torino, che presero le armi, combatterono e caddero eroicamente, non soltanto erano contro la guerra, ma volevano che finisse con la sconfitta dell'esercito della borghesia e la vittoria di classe del proletariato. Proclamavano così che la guerra non crea un interesse comune tra la classe borghese dominante ed il proletariato sfruttato, e così andavano ben oltre le posizioni del Partito socialista...”.
N. C.