Tra le richieste degli operai aumenti di salario e carichi di lavoro meno gravosi.
Lo scorso luglio, gli operai dello stabilimento della FcaSrbija di Kragujevac, in Serbia, sono entrati in sciopero per ottenere aumenti di salario e riduzione dei carichi di lavoro.
La FcaSrbija, dove oggi si produce la 500L, è l’erede della storica Zastava, la storica fabbrica statale di automobili il cui marchio ha cessato di esistere dal novembre del 2008. In quell’anno la Fiat rilevò gli impianti e lo stesso stabilimento in seguito ad una joint venture con lo Stato serbo, che assegnava alla società del Lingotto il 67% delle quote della fabbrica. Le relazioni industriali tra Fiat e Serbia datano sin dal 1953 con la produzione di modelli della casa torinese, che hanno garantito al governo serbo un alto livello di export e alla Fiat ingenti profitti grazie ai bassi salari e ai cospicui sconti fiscali.
Il 27 giugno scorso i lavoratori, stanchi di percepire retribuzioni al disotto della media nazionale di 46.000 dinari, hanno incrociato le braccia con il motto «lavoro decente, paghe decenti». Lo sciopero è stato indetto ad oltranza dal sindacato indipendente “SamostalniSindicakat” (SSSK) e dalla unione sindacale autonoma “Nezaviznost” per portare il salario base mensile da 38.000 dinari (320 euro) a 45.000 dinari (370 euro), una retribuzione che comunque continua ad essere di molto inferiore a quella percepita dai lavoratori Fiat degli altri paesi. Gli operai hanno chiesto inoltre dei rimborsi per coloro che non possono usufruire di mezzi di trasporto organizzati per venire in fabbrica nei turni notturni. Un’altra richiesta è consistita in un’organizzazione del lavoro meno gravosa per chi oggi è costretto a sostituire gli operai assenti per malattia, per maternità o per altre ragioni. La Fiat, infatti, nonostante avesse licenziato nel 2016 circa 900 lavoratori, ha deciso di produrre nel 2017 85.000 vetture, lo stesso target dell’anno precedente. Lo stesso volume produttivo, dunque, con lo stesso organico. Per inciso, la riduzione d’organico venne “giustificata” da un forte calo della produzione di auto a benzina. Un calo, però, che è stato almeno in parte compensato dall’esportazione di altri prodotti che escono dalla fabbrica.
La lotta è stata diretta dal comitato di sciopero, composto dai soli rappresentanti del SSSK, unico sindacato riconosciuto dall’azienda. Il comitato ha chiesto ai lavoratori di presentarsi sul posto di lavoro e, quindi, di «non lavorare». L’adesione è stata molto alta: 2.000 operai sono scesi in sciopero, circa il 90% dell’organico.
I lavoratori hanno dimostrato molta determinazione e hanno continuato la lotta noncuranti delle esortazioni della prima ministra serba Ana Brnabic ad interrompere lo sciopero accampando il rischio che le proteste avrebbero potuto spingere la Fiat a lasciare il paese così come allontanare gli investitori esteri alla vista di lavoratori non più disposti ad “onorare il contratto di lavoro”. Un modo eufemistico per esprimere la contrarietà al fatto che in Serbia gli operai non intendano più accettare condizioni di lavoro e di vita al di sotto della sopravvivenza. Tali spauracchi non hanno però intimorito gli operai, consapevoli che uno sciopero non può essere la causa del ritiro della Fiat dalla Serbia, anche perché l’azienda gode di condizioni inimmaginabili in nessun’altra parte del mondo.
I lavoratori in sciopero, anche per questo, chiedono di rendere pubblici gli accordi tra Fiat e governo serbo, ora protetti dal segreto di Stato. Nondimeno, già oggi si può affermare con certezza che nel 2016 la Serbia ha versato alla compagnia del Lingotto 3,8 miliardi di dinari (quasi 30 milioni di euro). Non solo, la Fiat è esentata dal versare i contributi per i lavoratori per dieci anni, non paga le imposte locali ed ha in concessione gratuita il terreno su cui produce. Senza contare i tassi agevolati sui prestiti della Bce per gli investimenti e lo sconto sulle forniture energetiche. La Fiat, in sostanza, pur producendo in Serbia vetture sin dal 2008, beneficia di agevolazioni riservate ad aziende che partono da zero. Si sa, inoltre, che la Serbia, in virtù dell’accordo stipulato nove anni fa, ha investito 100 milioni di euro e la Fiat ha ricevuto sovvenzioni pari a 10.000 euro per ogni operaio. Oggi, la produzione di auto a Kragujevac vale circa il 3% del Pil del paese e l’8% delle sue esportazioni.
Il 19 luglio, i lavoratori della FcaSrbija hanno interrotto lo sciopero durato ben tre settimane in seguito all’accordo raggiunto con la mediazione del governo serbo. In sostanza, gli operai hanno ottenuto un aumento salariale del 10% che porterà la loro retribuzione a circa 350 euro mensili, bonus di produttività, rimborsi per chi non può usufruire dei trasporti pubblici, la formazione di una commissione tecnica composta da sindacalisti e dirigenti aziendali per valutare i carichi di lavoro eccessivi.
Lo sciopero si è concluso per l’intervento delle direzioni sindacali, che hanno interrotto la lotta in modo burocratico senza consultare i lavoratori.I risultati ottenuti in rapporto alle richieste avanzate sono stati modesti se rapportati alla determinazione degli scioperanti. Il vero dato positivo di questo sciopero è che gli operai hanno dimostrato di saper alzare la testa e di non essere più disposti a subire passivamente condizioni di super sfruttamento. Non dobbiamo sottovalutare l’importanza di un’esperienza di lotta come quella che ha portato gli operai di Kragujevac a resistere alle pressioni di Fiat e governo astenendosi dal lavoro per tre settimane. E una lotta sostenuta in modo compatto per così tanto tempo e in presenza di salari bassissimi è prova di un ragguardevole livello di coscienza di classe.
I lavoratori della FcaSrbija meritano tutta la solidarietà di classe dei lavoratori degli altri paesi, a partire da quelli del gruppo Fca, in particolare della Fca in Italia, il cui futuro lavorativo è oggi più che mai incerto. Quella stessa solidarietà espressa verso gli operai della Zastava nel 1999, quando la fabbricafu bombardata dalla Nato durante la guerra dei Balcani.
M.I.