Una guerra di logoramento

Fra incertezze e notizie contrastanti il tempo scorre inesorabile, e l’obiettivo massimo raggiungibile sembra ormai diventato la proroga delle condizioni previste dalla Legge Marzano per la tutela dei lavoratori delle grandi aziende in crisi, quindi la continuità produttiva e il mantenimento dei posti di lavoro dopo il 30 giugno. Sarebbe già un risultato.


Per come si è svolta tutta la vicenda delle acciaierie di Piombino, ora che possiamo guardarci indietro e vederla nel suo sviluppo attraverso gli anni, è chiaro come si sia cercato di fiaccare e stancare progressivamente le forze e la capacità di lotta dei lavoratori con promesse continue, piani e progetti che dilatavano i tempi e le procedure, continui ricorsi a rimandare nel tempo le decisioni, gli accordi e le scelte concrete. E quando finalmente si arrivava a un punto fermo qualsiasi, era evidente che si era sceso un gradino ulteriore nelle condizioni e nelle prospettive. Un gioco feroce, di fronte al quale è stato obiettivamente difficile opporsi, anche se – soprattutto all’inizio – non erano mancate le iniziative di lotta.

Il banco di prova era proprio questo: non stancarsi, e non perdere di vista gli obiettivi. Che erano non tanto entrare nel merito degli assetti industriali o pensare di avere voce in capitolo sulle scelte della proprietà, ma tenere la barra dritta sulle esigenze vitali dei lavoratori, che - comunque vadano le cose - hanno il diritto fondamentale di vivere, insieme alle loro famiglie. A pochi giorni dalla scadenza del termine di due anni previsto dalla Legge Marzano, il padrone algerino di Aferpi non si è fatto nemmeno sentire, sapendo bene che le tutele legali previste erano in scadenza, e a partire dal 1 luglio poteva disporre del personale a piacimento, senza impedimenti a licenziamenti e ristrutturazioni.

Quello che succederà nei prossimi anni naturalmente a oggi non possiamo saperlo, ma possiamo essere certi che, se un argine è possibile, è soltanto nelle mani dei lavoratori: di certo non nell’intervento del Ministro, del Sindaco o del Governatore di turno. E, se anche un intervento di queste “personalità” fosse possibile, avverrebbe solo per la pressione forte che fossero in grado di esercitare i lavoratori. Così è avvenuto anche stavolta, quando si è riusciti a mettere in campo almeno una forma di protesta concreta, per quanto tardiva e quindi debole. Non si può dire che i sindacati confederali siano stati particolarmente combattivi. Sono stati addirittura ringraziati ufficialmente dal prefetto di Livorno per aver mantenuto e garantito l’ordine pubblico. E non sono stati nemmeno tempestivi: lo sciopero generale (limitato al comprensorio, con l’esclusione dei servizi pubblici, che necessitano del preavviso) è stato proclamato il 29 giugno per il giorno dopo, il 30 giugno, immediatamente a ridosso della scadenza. Difficile che riuscisse alla grande; comunque - chi dice 1000, chi 1500 - partecipanti esasperati hanno bloccato lo snodo di Fiorentina, fermando il traffico in entrata e in uscita da Piombino per oltre due ore. Il risultato – per quanto modesto e parziale – è stato l’ennesimo accordo firmato al Mise, che prolunga per altri due anni la gestione straordinaria; particolare non trascurabile, stavolta bisogna fare i conti con il Jobs Act, che abbrevia di sei mesi la cassa integrazione (18 invece di 24) e ne diminuisce la consistenza di 200 euro. Niente di nuovo però sui progetti futuri, che riguardino il forno elettrico o l’agroalimentare. L’impressione è che si vogliano tenere tutti buoni per altri due anni, assicurando la calma sociale…poi si vedrà.

Nonostante lo scoraggiamento, in questi anni qualcuno non si è arreso e ha provato almeno a organizzare una resistenza, senza aspettare l’ultimo minuto, un gruppo eterogeneo di lavoratori che un paio di anni fa avevano messo in piedi un campeggio di protesta dei cassintegrati sulle aiuole davanti alla rotonda di entrata in città, e che avevano poi proseguito con altre iniziative, cercando anche il sostegno fuori dalle mura cittadine. L’ultima iniziativa di questo gruppo, il “Camping CIG”, ha avuto il sapore dello sconforto estremo, dato che riuniva alcuni volontari incatenatisi alle mura della fortezza del Rivellino, di fronte alla piazza centrale, con i suoi negozi e caffè all’aperto – una struttura di solito destinata, in questa stagione estiva, a vari eventi ricreativi. Nello stesso luogo hanno organizzato anche assemblee aperte. Sarà un segno dei tempi, ma nell’occasione la reazione dell’Amministrazione Comunale, della cittadinanza e dei bottegai prospicienti la piazza è stata tutt’altro che edificante. I bottegai, che pure lamentano la crisi dovuta ai pochi soldi che circolano in città, non hanno trovato niente di meglio che lamentarsi con l’Amministrazione Comunale per la presenza degli striscioni di protesta e dei lavoratori incatenati. L’Amministrazione Comunale è ricorsa a una serie di pretesti burocratici (suolo pubblico, permessi, etc. etc.) per avere modo di sloggiare la protesta – ed è tutto dire da parte di un’Amministrazione che si è sempre proclamata “dalla parte dei lavoratori”. La cittadinanza, tutto sommato abbastanza indifferente, ha dimostrato scarsa partecipazione alle assemblee. Gli stessi lavoratori delle acciaierie sembrano non aver avuto fiducia nella possibilità di muovere gli equilibri con la loro partecipazione.

I lavoratori del presidio hanno fatto quello che potevano, ma aveva senz’altro poco senso rischiare una denuncia con interventi ancora più eclatanti, senza avere un sostegno di massa. Succede che molto spesso si dimentica quello che si può realmente fare con una lotta seria e costante, e si pensa di prendere una scorciatoia – istituzionale o meno. Purtroppo, per quante illusioni ci si possa fare, alternative a una strada lunga, pesante e faticosa non ce ne sono. Per esempio, riuscire a riunire un gruppo consistente di lavoratori, disposti a costituire - con determinazione - un problema costante di ordine pubblico, avrebbe senz’altro più peso di qualsiasi buona parola di un qualsiasi deputato, sindaco o quant’altro.

Si tratterebbe di riprendere in mano le regole elementari della lotta.

Corrispondenza Piombino