I voucher escono dalla porta e rientrano (peggiorati) dalla finestra

Nessuno si aspettava che l’abolizione dei voucher fosse sincera. Ma i nuovi voucher che non sono più voucher sono – se possibile – ancora peggiori dei vecchi voucher. In pratica sono una forma di contratto di lavoro in più, alternativo a forme di retribuzioni più tutelate: valgono minimo 9 euro, ma per cifre in più sono totalmente trattabili; si possono comprare sul sito dell’INPS, ma se il lavoro non viene svolto entro 3 giorni, si può bloccare il pagamento (cioè si può retribuire il lavoratore in nero, e poi dichiarare che il lavoro è stato revocato); e siccome il pagamento “regolare” dovrebbe avvenire entro il 15 del mese successivo (chissà perché), è probabile che il lavoratore incassi subito il suo gruzzoletto al nero e questione finita; con i nuovi voucher si può retribuire qualsiasi mansione, anche complessa e con l’uso di macchinari pericolosi, figuriamoci quanto adatti a lavoratori occasionali; i nuovi voucher avranno (teoricamente) come limite 5.000 euro l’anno per lavoratore, 2.500 dallo stesso committente. Una nuova pacchia per le imprese.

La Cgil ha affrontato il problema con una manifestazione a Roma e con il consueto stile “istituzionale”: protesta per il referendum invalidato dall’abolizione dei vecchi voucher, etc. Senonché il ripristino dei voucher non è semplicemente “uno schiaffo alla democrazia”, è molto di più. La reazione contro i nuovi voucher è sacrosanta, ma manca di una valutazione globale e di una lotta contro tutte le forme di precarietà, ormai tali e tante da aver spalancato le porte a qualsiasi abuso. Non si può fare dei nuovi voucher soltanto una parola d’ordine, come lo è stata un tempo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Al punto in cui siamo, significherebbe deludere gravemente ancora una volta chi ha partecipato alla protesta, confidando che si facesse – almeno stavolta – sul serio.