L’hanno trovato i suoi compagni di lavoro nel magazzino dove lavorava da una ventina d’anni, impiccato ad un pilastro. Era un operaio di 51 anni della Rosati di Leinì, una fabbrica di 40 lavoratori che produce sistemi di ventilazione. Il giorno prima si era sfogato con i compagni affermando di non farcela più a star dietro ai carichi di lavoro, tanto da non riuscire nemmeno più ad andare in pausa pranzo. L’azienda, di recente acquisita dal gruppo tedesco WingFan, aveva subito una pesante ristrutturazione. Nell’ultimo anno erano stati tagliati dieci posti di lavoro e da quel momento gli operai temevano il licenziamento. I carichi di lavoro, nel contempo, erano aumentati a dismisura.
Il suicidio di questo operaio, come quello di molti altri, è uno dei costi, di certo il più tragico, che i lavoratori pagano per la crisi. La mancanza di una risposta collettiva volta a riconquistare condizioni di vita e di lavoro migliori porta alla demoralizzazione e, a volte, alla disperazione. Così, si arriva al punto di togliersi la vita, in questo caso per troppo lavoro, oppure, è quanto accadde il 31 gennaio a Michele, giovane precario del Friuli, per troppa precarietà.
Corrispondenza da Torino