Sabato 11 marzo, si è commemorato la catastrofe di Fukushima verificatasi sei anni fa. Un sisma di magnitudo 9 aveva provocato uno tsunami sulla costa nordorientale dell'isola centrale del Giappone, a 300 km al nord di Tokio. L'onda di 15 metri di altezza aveva devastato 500 km di costa, causando più di 18.000 morti e danneggiando seriamente la centrale nucleare.
In quella di Fukushima Daiichi, in servizio dal 1971, tre reattori nucleari erano entrati in fusione ed erano stati completamente distrutti. Le materie contaminate avevano inquinato la regione su decine di chilometri quadrati, e una nuvola radioattiva aveva fatto il giro del pianeta, come dopo l'incidente di Chernobyl in Ucraina nel 1986. Si era dovuto evacuare gli abitanti della zona, 123mila, nel raggio di 30 km. Altri 400.000 furono fatti trasferire temporaneamente fino a quando gli impianti pericolosi fossero circoscritti ed isolati.
Da quel momento, alcuni abitanti sono poco a poco tornati, man mano che l'accesso alle varie località veniva autorizzato. Un anno fa, 80.000 persone rimanevano sfollate, di cui 50.000 della prefettura di Fukushima. Adesso sembra che le autorità vogliano spingere i profughi a tornare a casa, mentre molti non ne hanno alcuna voglia. Teoricamente i territori sono stati decontaminati, ma chi garantisce che ci si può tornare senza rischi? La società Tepco (Tokio Electric Power Company), proprietaria ed esercente della centrale, primo produttore mondiale privato d'energia elettrica, ha mostrato nel corso degli anni la sua irresponsabilità, risparmiando sulla manutenzione e la sicurezza delle centrali, dissimulando gli incidenti e falsificando i rapporti per garantire ai suoi azionisti un massimo di profitti. Quanto allo Stato giapponese, è sempre stato solidale con Tepco, anche quando l’azienda mentiva spudoratamente.
Di fronte a questa comprensibile riluttanza a tornare nelle località di nuovo autorizzate, lo Stato si prepara a porre fine agli aiuti all'alloggio di cui beneficiavano le persone evacuate. I meno ricchi non avranno più scelta e dovranno tornare ad abitare le zone contaminate nel 2011 e di cui si dice loro che oggi sono sicure. Chiaramente le autorità contano più sulla pressione finanziaria che sulla convinzione. E difatti gli abitanti hanno tutti i motivi di non fidarsi, né delle autorità, né della Tepco.
V.G.