Arturo Toscanini

Arturo Toscanini era nato a Parma il 25 Marzo 1867 ed è morto a New York il 16 Gennaio 1957. In questi giorni, dunque, se n’è ricordato tanto il centocinquantenario della nascita quanto il sessantenario della morte. Toscanini è stato uno dei più grandi ed acclamati direttori d'orchestra a cavallo tra il XIX ed il XX secolo.

Formatosi al conservatorio di Parma, sua città natale, studiò fin da ragazzino violoncello e composizione, diplomandosi nel 1885 con lode. È noto che a soli 19 anni, diresse la prima dell’Aida al Teatro di Rio de Janeiro interamente a memoria. Da questo episodio iniziò la sua fama mondiale.

Sulla sua carriera di musicista è già stato scritto tanto. Noi vorremmo ricordarlo per la dimostrazione di coraggio che dette nel periodo fascista. Quasi nessun intellettuale italiano, tra quelli rimasti in patria, resistette alla pressione del regime. Volenti o nolenti, quasi tutti accettarono di lustrare le scarpe a Mussolini, cercando sotto le ali del regime fascista un comodo rifugio. Basti ricordare, in campo musicale, Pietro Mascagni, che aderì al partito fascista nel 1932 o, nel campo della letteratura e della poesia, non solo i casi più noti di Marinetti e D’Annunzio, ma anche quelli di Ungaretti e Pirandello, che si iscrisse al partito all’indomani dell’assassinio di Matteotti.

Toscanini, si sottrasse al tentativo di chi voleva farne una “gloria” dell’Italia fascista. Direttore della Scala di Milano, si rifiutò di dirigere la prima di Turandot se in sala ci fosse stato Mussolini.

Inevitabilmente, la sua fermezza lo portò allo scontro più diretto con i fascisti. Il 14 maggio 1931, al Teatro Comunale di Bologna si doveva tenere un concerto diretto da Toscanini. Essendo presenti il ministro Costanzo Ciano e il gerarca locale Leandro Arpinati, fu chiesto al Maestro di far eseguire dall’orchestra la Marcia reale e “Giovinezza” prima di iniziare il concerto. Toscanini si rifiutò e fece per lasciare il teatro. Ad attenderlo fuori c’era un gruppo di fascisti che lo insultò e lo aggredì fisicamente. Uno di loro lo schiaffeggiò. È da sottolineare che, secondo Indro Montanelli, lo “schiaffeggiatore” era Leo Longanesi, al quale si continua ancora oggi ad attribuire la qualifica di “intellettuale ribelle”. Quando il Maestro fuggì verso il proprio albergo, fu seguito da una squadraccia capitanata dal “federale” Mario Ghinelli che gli intimò di lasciare la città se voleva rimanere incolume. E Toscanini lasciò non solo la città, ma l’Italia, decidendo di non dirigere nessuna orchestra nel proprio paese finché al potere ci fossero stati il fascismo e la monarchia. Il 19 maggio, l’Assemblea regionale dei professionisti e artisti dell’Emilia Romagna diffuse un comunicato nel quale si deplorava “il contegnoassurdo e antipatriottico” di Toscanini.

Nel 1933 rifiutò seccamente la direzione del prestigioso festival Wagneriano di Bayreuthche gli era stata offerta con una lettera personale da Hitler. Nel dicembre 1936, con un gesto di grande importanza simbolica, senza alcun compenso e pagandosi il viaggio a proprie spese, andò a dirigere a Tel Aviv il concerto inaugurale di un’orchestra interamente ebraica. Nel 1938, con l’Austria divenuta ormai una provincia del Reich hitleriano, abbandonò anche il festival di Salisburgo. Nel 1939 lasciò l’Europa e si rifugiò negli Stati Uniti.

Per apprezzare meglio la tempra dell’uomo, bisogna ricordare che in quegli anni nessuno dava per scontato che i regimi fascisti sarebbero crollati. Sembrava, anzi, specie dopo la sanguinosa vittoria di Francisco Franco contro la classe operaia rivoluzionaria spagnola, che l’Europa fosse destinata a subire per decenni il tallone di ferro delle dittature naziste, fasciste o nazionaliste. Segnalarsi per un atteggiamento risolutamente antifascista e schierarsi a fianco degli ebrei contro i loro persecutori e aguzzini poteva avere, secondo l’esito delle vicende storiche, una conseguenza tragica per chi lo faceva.

Arturo Toscanini, al contrario della maggioranza degli intellettuali italiani, lo fece. Einstein gli scrisse in una lettera: “Il fatto che esista un simile uomo nel mio tempo, compensa molte delle delusioni che si è continuamente costretti a subire”.

Oggi lo ricordiamo non solo per il grande direttore d’orchestra che fu, ma anche per l’esempio di coerenza e di coraggio che seppe dare e per il disprezzo nei confronti del servilismo di fronte ai potenti.

R.C.