I103 lavoratori precaridell’appalto dei servizi alla Reggia di Venaria lottano da quando, l’anno scorso, il Consorzio che gestisce la reggia ha deciso di tagliare le ore del 40% e, conseguentemente, il salario. Il Consorzio vede la partecipazione, tra gli altri, della Regione Piemonte, del Comune di Torino e della Compagnia di San Paolo. Il bando per la nuova assegnazione è stato aggiudicato nel maggio scorso alla Coopculture, cooperativa subentrata alla ATI “La Corte Reale srl”. Quest’ultima è un’associazione di imprese che comprende anche la Rear, cooperativa tristemente nota a Torino per i suoi bassi salari e che ha avuto come presidente Mauro Laus, poi divenuto presidente del Consiglio Regionale e molto vicino agli ambienti del Pd di Chiamparino.
Assemblee, presidi davanti alla Regione e al Comune, cortei nelle vie cittadine e ben 10 scioperi tutti molto partecipati si sono susseguiti nel corso della vertenza aperta dal sindacato di base USB. I lavoratori hanno mostrato sin da subito la loro determinazione a respingere i tagli di ore e di salario previsti dal capitolato d’appalto che, tra l’altro, non prevedeva la clausola di mantenimento dei livelli occupazionali e, pertanto, non vincolava il nuovo padrone ad assumere tutto l’organico. Un capitolato che, inoltre, lasciava piena libertà al nuovo appaltatore di applicare il tipo di contratto di lavoro, anche se peggiorativo. Cosa che è successa, dal momento che i lavoratori, il cui salario non raggiunge i 900 euro mensili, non solo si sono visti tagliare le ore di lavoro, ma anche decurtare la paga base. Sono lavoratori che operano nei servizi di accoglienza, sorveglianza, biglietteria e call center sin dal 2007, anno dell’inaugurazione della Reggia e che hanno contribuito a farne uno dei posti più visitati d’Italia.
Il 6 gennaio scorso i lavoratori sono di nuovo scesi in sciopero, questa volta come risposta alla celebrazione del milionesimo visitatore voluta dal Consorzio, un traguardo del 2016 mai raggiunto prima. Questa celebrazione, come si legge nel comunicato USB che invitava a partecipare il giorno dello sciopero alla “Antifesta del taglio dello stipendio”, «risulta essere tanto più paradossalese la si relaziona alle condizioni economiche peggiorative imposte ai lavoratori dall’ultimo bando». Dunque, «è evidente che è stata creata una crisi a tavolino da un Consorzio che vanta aumenti di bilancio, ma taglia ore e stipendio ai dipendenti esternalizzati».
Il Consorzio e la Coopcultura hanno risposto allo sciopero con un atto di rappresaglia sostituendo gli scioperanti con personale esterno assunto per l’occasione. Evidentemente, l’abolizione dell’art.18 con il Jobs Act di Renzi ha ringalluzzito Consorzio e cooperativa che non hanno esitato a considerare abolita anche la norma dello Statuto dei Lavoratori, tuttora in vigore, che vieta atti antisindacali. I lavoratori hanno prontamente reagito con un picchetto davanti alla reggia per informare i visitatori sulle ragioni della lotta esibendo le loro buste paga da fame. Già in occasione di un’assemblea sindacale regolarmente indetta il 25 aprile dello scorso anno, 60 lavoratori ricevettero lettere di contestazione per avervi partecipato da parte della precedente cooperativa “La Corte Reale”. Oggi, dunque, con il nuovo appalto si ripropongono vecchie rappresaglie.
La mobilitazione dei lavoratori della Coopculture, nonostante i ripetuti attacchi, continua nella ferma volontà di ottenere l’assunzione diretta da parte del Consorzio o l’annullamento dei tagli di orario e di salario, nonché l’indicazione nei capitolati d’appalto dell’applicazione del contratto Federculture, le cui clausole di tutela in caso di subentriparificherebbero questi lavoratori a quelli che dipendono direttamente dalla reggia.
Questilavoratori, con le loro rivendicazioni e per come hanno condotto la lotta, hanno mostrato di non accontentarsi delle vaghe e ripetute promesse dell’assessore regionale alla Cultura Antonella Parisi, la quale hapiù volte parlato della volontà di incrementare le attività della reggia e, quindi, di aumentare le ore del servizio. Una volontà, peraltro, sempre disattesa. Non ci si deve stupire dal momento che un luogo di cultura viene gestito come una grande azienda che, in quanto tale, non esita a peggiorare le condizioni di lavoro per massimizzare i profitti.
Corrispondenza da Torino