Ferrovieri - Un contratto che non convince

A dicembre è stato siglato il contratto nazionale dei ferrovieri e, insieme, quello “aziendale” del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane (FSI). Successivamente, nel mese di gennaio, si è svolto un referendum nella categoria per ottenere il consenso dei lavoratori. Sull’esito del referendum ha pesato, ovviamente, la minaccia di non intascare nemmeno quei pochi soldi previsti dal testo siglato. “Pochi maledetti e subito”, questo è stato lo spirito con il quale molti ferrovieri hanno barrato il Sì sulla scheda del referendum.

Le direzioni sindacali si proponevano due risultati da questa consultazione: ottenere una maggioranza schiacciante di Sì e una grande partecipazione al voto. Ambedue questi obiettivi erano alla portata, dato che nei seggi, a verificare la correttezza delle procedure erano presenti solo i rappresentanti dei sindacati firmatari, i quali hanno come minimo “dato una mano” a far tornare i conti. Così si è potuto leggere sui giornali che quasi l’85% dei ferrovieri ha votato Sì. Più opachi e meno diffusi i dati sulla partecipazione, intorno al 60%.

Il contratto, o meglio, i contratti, erano scaduti dal 2014, quindi quelli firmati a dicembre varranno solo per tutto il 2017. Dunque, fra pochi mesi dovrebbero ricominciare i giuochi. Meglio arrivarci preparati. I motivi del No rimangono validi e riguardano molto di più quello che non è contenuto nel contratto di quello che c’è dentro. In molte assemblee spontanee e attraverso molti scioperi nazionali, proclamati dai sindacati di base ma fatti da un numero di lavoratori ben maggiore degli iscritti e dei simpatizzanti di questi stessi sindacati, era stato sollevato soprattutto il problema di una maggiore umanizzazione della prestazione lavorativa. Anche tenendo conto del prolungamento abnorme dell’età lavorativa, dovuto alla riforma Fornero, è chiaro che non si può sottoporre l’organismo umano di un lavoratore, specie un lavoratore dell’esercizio, a prestazioni giornaliere superiori alle otto ore, a prestazioni settimanali di 38 ore medie, a lavoro notturno mascherato da lavoro giornaliero, a riposi fuori residenza nei quali non è previsto un vero recupero fisiologico della stanchezza. Queste esigenze sono state completamente ignorate. Anzi, nel caso del personale di macchina di Mercitalia, la nuova divisione societaria che eredita la “vecchia” Cargo, si è portato il limite del riposo fuori residenza a 30 ore, contro le 24 ore di tutti gli altri macchinisti.

C’è un’altra questione che non deve essere sottovalutata, collegata al premio di risultato. In pratica, l’accordo aziendale, siglato in concomitanza con il contratto, prevede la corresponsione, come una tantum, di una cifra che varia dai 680 ai 470 euro secondo i parametri di inquadramento. Nel verbale è scritto nero su bianco che è “in sostituzione dei premi di risultato non definiti per gli anni 2013, 2014 e 2015”. Come se la loro non definizione fosse un evento naturale e non una precisa responsabilità dell’azienda FSI, con una buona dose di complicità delle segreterie sindacali. Ma il fatto che una norma, e quindi un obbligo contrattuale, possa così disinvoltamente essere ignorata, ci mette più di una pulce nell’orecchio: chi ci garantisce che quello che viene firmato oggi sia rispettato domani? Naturalmente c’è da dire qualcosa anche sulla cifra. Il premio di risultato per il 2012 andava dai 620 ai 450 euro e si riferiva ad un solo anno!

Il premio per il 2016, per quanto appaia molto più consistente, non compensa i tre anni perduti. Inoltre individua dei criteri di erogazione sui quali i lavoratori non hanno nessun controllo. Secondo uno di questi, l’incremento dell’EBIDTA (cioè la differenza tra ricavi e costi) sull’anno precedente, il premio di risultato del 2012 non avrebbe dovuto essere pagato perché il famoso EBIDTA fu allora di 1350,2 milioni di euro contro i 1391,1 del 2011. Ecco in che trappola ci hanno cacciato!

Nel complesso, la parte salariale, comunque, è quasi inesistente ed è qualcosa che avvilisce, se si pensa alle continue esternazioni dell’Amministratore delegato di FSI, che vanta grandi successi finanziari.

Chi ha detto No a questo contratto, ha anche detto No a un modo di fare sindacato che ignora le istanze dei lavoratori, che non mobilita l’insieme dei ferrovieri nemmeno di fronte allo scorporo della Cargo, con le incognite per i lavoratori che questo scorporo comporta e con l’indebolimento complessivo della forza rivendicativa della categoria.

Sarebbe potuta andare peggio? Sicuramente sì, se venivano accolte tutte le proposte delle controparti. Ma se questa sciagura non si è verificata non è grazie alle abilità dialettiche e diplomatiche dei rappresentanti sindacali al tavolo delle trattative. Hanno pesato - anche se né i burocrati sindacali, né i dirigenti aziendali lo riconosceranno mai - i tanti scioperi nazionali che hanno mostrato una categoria combattiva che non china facilmente la testa, nonostante tutti gli impedimenti alla libertà di sciopero, nonostante regole di rappresentanza che mettono la museruola a ogni forma di opposizione. Tanto i ferrovieri che hanno scioperato, quanto gli attivisti di base che hanno animato e organizzato le lotte dei mesi passati devono ripartire da questo dato di fatto e tornare a rivolgersi a tutti i ferrovieri, non solo a quelli che hanno votato No o hanno disertato la consultazione.

Corrispondenza ferrovieri