La regola aurea dei poteri costituiti, quando qualche catastrofe naturale mette a nudo l’impreparazione e la disorganizzazione dei servizi che ne dovrebbero evitare o diminuire fortemente gli effetti sulla popolazione, è mettere in primo piano l’eroismo dei soccorritori e far sentire all’opinione pubblica che “tutto il Paese” si stringe attorno alle vittime e “tutto il Paese” piange lacrime di sincera e commossa gioia quando un sopravvissuto viene tratto in salvo. Chi disturba questo clima di unità nazionale dei buoni sentimenti è uno sciacallo, un sabotatore, un nemico esecrabile.
Ma questo giochetto riesce sempre meno. Così, poco a poco, vengono a galla tutte le magagne che inchiodano alle loro responsabilità le classi dirigenti. Rigopiano, l’albergo demolito da una slavina il 18 gennaio, divenuto il simbolo delle calamità che hanno investito il centro Italia, era costruito sui detriti di altre slavine.
Semplicemente, come è emerso dalle prime indagini, non avrebbe dovuto essere costruito in quel posto, che è al centro di tre “coni” che segnano i flussi di materiale roccioso che, da secoli, si sono riversati in quel punto, scivolando dalle formazioni montuose che gli stanno alle spalle.
Il sommarsi di una ripresa dell’attività sismica con le forti nevicate ha certamente prodotto una situazione di grave criticità. Ma non tanto straordinaria da non essere prevedibile. Non solo perché i bollettini meteo avevano anticipato di quattro giorni la tempesta di neve, ma anche perché, in una zona dove le forti nevicate sono una regola, non si vede perché le precipitazioni avrebbero dovuto arrestarsi perché la zona era già investita dal terremoto.
Ancora non c’è il bilancio definitivo dei morti e dei danni, mentre si susseguono le notizie di frazioni completamente isolate, prive di elettricità per giorni e giorni, di strade impraticabili, di strutture appena costruite dopo il terremoto dello scorso agosto e già crollate o seriamente compromesse, come la tensostruttura – adibita ad asilo infantile - che è stata abbattuta dalla neve a Pieve Torina, in provincia di Macerata.
Sopra a tutte le responsabilità di singoli dirigenti o amministrazioni, che pure ci sono, svetta in ogni caso quella di un intero sistema. La predisposizione di un territorio ad affrontare la violenza della natura e a prevenirne le conseguenze è questione di organizzazione, di uomini e di mezzi, quindi, in ultima analisi, di quattrini. La logica che ha fatto costruire un albergo in un canalone che era già pavimentato dai detriti di slavine, la logica che lo ha fatto restare aperto anche d’inverno, è la stessa che fa mancare i mezzi spazzaneve, le turbine e tutto quanto avrebbe potuto consentire di togliere da quell’inferno, per tempo, tutti quelli che vi sono rimasti imprigionati. È la stessa logica che impedisce l’assunzione dei 4000 vigili del fuoco che mancano a livello nazionale. La stessa logica che omette di predisporre piani operativi di evacuazione e di alloggiamento, in condizioni umane, degli abitanti delle frazioni più sperdute. La miopia di un capitalismo straccione che preferisce sempre l’uovo oggi alla gallina domani è divenuta la “filosofia” dell’amministrazione pubblica. Un sistema di governo che si abbatte sulle popolazioni e diviene la vera catastrofe.
Mentre dall’Abruzzo, dall’Umbria, dalle Marche e dal Lazio arrivavano i bollettini delle tempeste di neve e delle scosse di terremoto, dalla Sicilia e dalla Calabria arrivavano quelli delle esondazioni e delle “bombe d’acqua”. In ognuno di questi casi, quando la parola passa agli scienziati: vulcanologi, sismologhi, geologi, meteorologi, ingegneri, ecc. viene sempre fuori la stessa verità: la dissennata gestione del territorio, la cementificazione, l’assenza di manutenzione e di sorveglianza dei canali e degli alvei fluviali, moltiplicano gli effetti distruttivi delle catastrofi naturali.
Commentando un’alluvione che colpì il Polesine, Giuseppe Garibaldi scrisse nel novembre del 1872: “La sventura che colpì le popolazioni della valle del Po particolarmente è irremediabile col sistema che ci regge… Sì, il sistema che ci regge è la fonte delle nostre sciagure! Un governo onesto, con mezzo miliardo economizzato sulla cassa privilegiata, potrebbe rimediare alle sventure di tanta parte del nostro popolo… Ripeto: non si rimedia alle piene dei fiumi colle cassette particolari e le sottoscrizioni. Con mezzo miliardo per principiare alla buona ora e si potrebbe dar mano subito all’imboschimento dei monti ed incanalamento dei fiumi”. Già il vecchio combattente del Risorgimento, 135 anni fa, aveva capito che non gli eventi naturali ma “il sistema che ci regge” era l’origine delle “nostre sciagure”!
R.C.