In tutto il mondo le disuguaglianze sociali sono aumentate enormemente negli ultimi anni. Molti centri di ricerca confermano che mentre, da una parte, la crisi ha impoverito la maggior parte della popolazione, dall’altra ha consentito l’arricchimento di una minoranza. Mentre da una parte si è costretti ad accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi condizione per tentare di ottenere un reddito di sopravvivenza, dall’altra sono aumentati i patrimoni in modo spudorato. Ogni paese si confronta con questo fenomeno. In Italia, dove 7 super miliardari possiedono la stessa ricchezza del 30% più povero e in dieci anni la popolazione in condizione di povertà è aumentata del 141%!
Aumenta quello che politici e giornalisti definiscono “malessere sociale”, aumenta la rabbia e la sfiducia in tutti quegli uomini, quei partiti e quelle istituzioni che vengono identificati con la classe dirigente, con le elites. Un sentimento giustificato, ma abilmente convogliato verso falsi obiettivi da politicanti senza scrupoli. Il miliardario Trump è diventato rapidamente il simbolo di questo miscuglio di nazionalismo, razzismo e protezionismo che finge di stare “con il popolo” mentre incarna gli interessi dei magnati dell’industria e della finanza, cioè dei primi responsabili della miseria di massa e della disoccupazione. Nella sua cerchia di consiglieri e di membri del governo figurano i pezzi grossi di wall street e i dirigenti della grande industria.
Non è una novità. È già accaduto nella storia che, a seguito di una crisi che si è trascinata nel tempo, i governi di tutto il mondo si siano orientati verso una politica protezionista, sostenuta ideologicamente da un nazionalismo capillarmente diffuso dai mezzi di comunicazione di massa. È successo, e il risultato è stata la seconda guerra mondiale, cioè la più grande carneficina che la storia ricordi.
Difendere il “lavoro nazionale”, “comprare americano” in America, “comprare tedesco in Germania”, “comprare italiano” in Italia, che cosa significa? Con il grado di internazionalizzazione raggiunto non solo dalle relazioni economiche, cioè dagli scambi di merci e capitali, ma anche dai processi tecnici della produzione dell’industria manifatturiera, queste frasi non hanno senso. Oppure un senso ce l’hanno: quello di preparare il terreno per una conquista violenta dei paesi produttori di materie prime, o per prendersi con la forza i mercati esteri che occorrono all’industria nazionale. È la strada della guerra.
Non vogliamo ripercorrere quella strada! Vogliamo che la lotta contro la disoccupazione e lo sfruttamento, contro la precarietà e i bassi salari venga condotta dai lavoratori, dai giovani dalle classi popolari, in primo luogo contro i propri sfruttatori diretti, ovvero i grandi capitalisti del proprio paese e i loro complici politici. Fomentare l’odio tra poveri, tra “stranieri” e italiani, tra “garantiti” e precari, tra lavoratori più anziani e lavoratori più giovani, tra pensionati e disoccupati, significa versare benzina su un fuoco distruttore che nel passato ci ha condotto a dittature sanguinarie, a città rase al suolo, alla deportazione, alla riduzione in schiavitù e allo sterminio di interi popoli.