In Siria, prima di essere rioccupata dalle forze del regime, Aleppo è stata per mesi sotto le bombe. Gli abitanti di questa città grande come Torino hanno subito i bombardamenti dell'esercito siriano sostenuto dalla Russia. “Le vie sono piene di gente sotto le macerie. Muoiono perché non si possono portare via da lì”, spiegavano i soccorritori. Anche gli ospedali sono stati presi di mira, mentre l'esercito riprendeva strada dopo strada le zone che ancora gli sfuggivano.
Le grandi potenze si rinviano le responsabilità. Il ruolo della Russia è certamente ignobile. E che pensare di politici che qui fanno l'elogio di Putin! Ma Obama, Hollande e gli altri dirigenti occidentali sono ben poco qualificati per indignarsi e gridare al crimine contro l'umanità. Infatti le grandi potenze hanno una responsabilità schiacciante nell'evoluzione che ha condotto alla situazione attuale in Siria.
Poco tempo fa, sostenevano ancora la feroce dittatura di Assad, che in Francia nel 2008 Sarkozy aveva invitato alla sfilata del 14 luglio. Poi nel 2011, in occasione delle “primavere arabe”, i dirigenti occidentali lo hanno abbandonato. Hanno sostenuto alcune milizie, fra cui anche quelle degli islamisti, tanto barbare quanto lo è il regime. Tre anni dopo, quando grazie a questa politica gli islamisti erano riusciti a controllare un vasto territorio, le grandi potenze hanno nuovamente cambiato orientamento. Oggi criticano Assad e Putin, ma lasciano loro fare il lavoro sporco, mentre esse stesse conducono la guerra contro gli islamisti in altre parti della Siria ed in Iraq, come a Mossul, oggi devastata da tremendi combattimenti.
In cinque anni, la guerra in Siria avrebbe fatto 400.000 morti, 12 milioni di profughi, di cui 4 milioni sono partiti all'estero. I dirigenti occidentali versano oggi lacrime di coccodrillo. La loro sollecitudine non va fino ad aprire le porte ai siriani. Se questi riescono a scappare da questo inferno e tentano di rifugiarsi in occidente, si urtano ai fili spinati installati dall'Europa-fortezza o dalla Turchia con i soldi europei. E spesso il Mediterraneo diventa il loro cimitero.
La politica delle potenze occidentali non è stata mai guidata dagli interessi dei popoli, ma sempre dalla cupidigia. Il Medio Oriente ed il suo petrolio sono da tempo oggetto dei loro appetiti. Dopo la prima guerra mondiale, francesi e britannici si sono diviso l'impero ottomano, e la Siria è passata sotto la sovranità francese. Da allora, i paesi della regione sono forse indipendenti, ma le potenze occidentali continuano a saccheggiarli, al prezzo di guerre terribili. E, oggi ancora, i venditori di cannoni o i cementieri fanno profitti grazie alla devastazione della Siria.
I dirigenti occidentali spiegano che laggiù lottano contro il terrorismo. È pura ipocrisia. In realtà, lo alimentano, con la loro politica imperialista. Gli attentati in Europa sono stati un contraccolpo della guerra dall'altro lato del Mediterraneo.
Questa guerra coinvolge già l'Iran, le monarchie del golfo, gli stati occidentali, la Russia ed il regime turco, in guerra contro la sua minoranza curda. E la storia del 20° secolo ci ricorda che da un conflitto apparentemente lontano e secondario può scaturire una guerra generalizzata.
Forse con quello che succede in Medio oriente è in gioco il futuro di tutto il pianeta. Il capitalismo porta in se la guerra come la nube porta la tempesta, diceva il socialista Jean Jaurès. Siria, Iraq, Afghanistan, Ucraina, Sudan, Libia… il mondo oggi è a ferro e a fuoco.
Capitalismo vuol dire anzitutto sfruttamento della classe operaia, salari bassi e minaccia permanente della disoccupazione, e questo, da solo, giustifica la necessità di porvi fine. Ma questo sistema demenziale, che si basa sulla concorrenza selvaggia tra imprese e tra stati, minaccia in modo permanente di condurre tutta l'umanità alla guerra. Gli operai italiani, francesi o tedeschi di prima del 1914 erano duramente sfruttati. Ma il futuro che li aspettava, l'inferno delle trincee, era peggio ancora.
Sbarazzarsi del capitalismo, togliere alle grandi imprese il loro dominio su tutta l'economia, è vitale, perché è vitale porre fine alle diseguaglianze ed allo sfruttamento del lavoro dipendente. Ma è altrettanto vitale porre fine alle guerre generate dalla cupidigia del grande capitale e delle grandi potenze. Se no, presto o tardi ci sarà un'altra Aleppo e un'altra Mossul, e non solo dall'altra parte del Mediterraneo.
M.B.