Turchia - Erdogan nostalgico dell'epoca dei sultani

Venerdì 4 novembre, in Turchia, il governo Erdogan ha fatto un altro passo nell’inasprimento della repressione arrestando i due copresidenti del partito filocurdo HDP, Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdag. In totale undici deputati di questo partito sono stati arrestati sui suoi 59 eletti in Parlamento. Dopo questi arresti, l'HDP ha deciso di non partecipare più alle sedute dell'assemblea.

Alcune settimane prima, erano stati arrestati il sindaco della grande città kurda Diyarbakir ed il suo assistente, sempre membri dell’HDP. L’accusa è quella di complicità con la guerriglia del PKK. Ma il 31 ottobre il bersaglio era stato il giornale Cumhuriyet. Il redattore capo di questo grande quotidiano di centrosinistra e dodici suoi collaboratori, di cui nove giornalisti, erano arrestati, accusati di doppia collaborazione con l'imam Fethullah Gülen e la guerriglia curda del PKK.

Si allarga sempre di più il ventaglio della repressione governativa. Dalla data del fallito colpo di stato, il paese è sottomesso ad uno stato di emergenza che permette al governo di agire a colpi di decreti. Risultato: attualmente più di 37.000 persone sono in fermo di polizia, o già sotto avviso di garanzia, e più di 110.000 altre sono state sospese dal lavoro, di cui un quarto di insegnanti.

Anche più di 13.000 poliziotti sono stati sospesi. Tra questi, 2.523 graduati, accusati di simpatie per la setta Gülen ritenuta responsabile del tentativo di colpo di Stato. Le purghe sono quotidiane, e ad esempio nel solo giorno del 2 novembre 137 mandati d'arresto sono stati lanciati contro universitari. Il 3 novembre, 1.218 gendarmi sospetti di prossimità con il movimento Gülen sono stati allontanati. Ma le purghe toccano ora tutti gli oppositori, quelli di sinistra, i militanti sindacali o dei diritti dell'uomo e della causa curda, come mostra l'arresto dei dirigenti HDP. Nei discorsi di Erdogan e del partito AKP al potere, i partigiani di Gülen ed i militanti curdi sono invariabilmente denunciati sotto il termine generale di “terroristi”.

“La Turchia ha paura, paura della guerra, di un'eventuale guerra civile, dell'essere arrestati senza avere fatto nulla”, ha scritto il quotidiano Hürriyet. L'irrigidimento del potere è ovviamente in relazione con i suoi progetti all'estero. Erdogan fa campagna sulla questione delle frontiere della Turchia moderna, come definite dagli accordi di Losanna del 1923. Accusa i dirigenti dell'epoca, tra cui Mustafa Kemal, di avere ceduto troppo facilmente i territori di Mossul e Kirkuk in Iraq, le regioni di popolazione turca della Siria o le isole del Mare Egeo oggi integrate alla Grecia.

Erdogan vuole solo mettere la popolazione in una condizione di totale assoggettamento o progetta davvero di fare la guerra ai suoi vicini? In ogni caso le truppe turche sono già presenti in Iraq ed in Siria ed Erdogan non nasconde la sua volontà di esercitare un ruolo nei negoziati sul futuro di Mossul e di Raqqa quando i jihadisti dell'Isis saranno stati cacciati. Il governo turco non vuole che si stabilisca un’entità statuale curda, nemmeno nella forma di una regione autonoma, nel nord della Siria. Un Curdistan siriano potrebbe incoraggiare le spinte separatiste dei curdi di Turchi. Quindi prende tutte le precauzioni necessarie, riducendo al silenzio coloro che, all'interno del paese, potrebbero criticare la sua politica guerrafondaia.

“Mi accusano di essere un dittatore, ma non ascolto neppure. Mi entra da un orecchio e mi esce dall'altro. Abbiamo le liste di quelli che sono contro di noi e faremo il necessario”, ha dichiarato Erdogan recentemente. Ha visibilmente la nostalgia dell'impero ottomano, dei suoi territori ed anche dei suoi metodi polizieschi di governo. Ma non è sicuro che abbia i mezzi per farne la base della sua politica.

J. S.