La ditta d’appalto Camst ha annunciato 26 addette “di troppo”. Sono le prime vittime della guerra del “panino libero”
Il posto di lavoro delle lavoratrici della Camst è a rischio! La ditta appaltatrice del servizio mense scolastiche del Comune di Torino ha già annunciato, per il momento, 26 esuberi. Le lavoratrici hanno risposto con una prima protesta in Commissione Istruzione del Comune, dove un folto numero di loro ha manifestato la propria rabbia.
Tutto ha origine da quando, quasi quattro mesi fa, il Tribunale ha dato ragione ad un gruppo di genitori che reclamavano il diritto per i propri figli di consumare a scuola il pasto portato da casa, anziché quello della mensa, ritenuto troppo caro e soprattutto di scarsa qualità.
A due mesi e mezzo dall’inizio dell’anno scolastico sia il Comune sia il Ministero dell’Istruzione, salvo scaricare le responsabilità l’uno sull’altro, non hanno fatto nulla per evitare i problemi che oggi vengono al pettine. Si è detto delle lavoratrici della Camst che rischiano il licenziamento. Ci sono poi gli operatori scolastici che invece vedono aumentare i carichi di lavoro perché devono pulire gli spazi destinati al consumo dei pasti “fai da te”. Alle lavoratrici delle mense, infatti, compete solo la pulizia degli spazi dedicati al servizio di refezione scolastica. Il Provveditorato avrebbe dovuto mandare 44 nuovi operatori scolastici, ma ne sono giunti solo 4.
Risultato: le lavoratrici della Camst sono costrette a pulire la “zona panino” là dove gli operatori scolastici non sono sufficienti, Non solo, ma anche alunni e insegnanti devono patire una serie di disagi derivanti dal sopravvenuto scadimento delle condizioni igieniche. Basti dire che vi sono scuole in cui i bambini che fruiscono del servizio mensa e quelli del “panino libero” mangiano nello stesso refettorio, anche se in spazi distinti ma spesso delimitati solo da un nastro. In altre scuole si mangia persino nei corridoi, in altre ancora si riscaldano le pietanze sui termosifoni o si appoggia il “baracchino” (pizza, panini, frutta, etc.) sul pavimento per tutta la mattina.
La Camst ha comunicato che le 26 lavoratrici in esubero saranno messe in ferie forzate fino a febbraio, ma se la richiesta dei pasti non dovesse aumentare, si ipotizzerebbero nuovi scenari, tra cui il licenziamento o lo spostamento di personale in altri centri cottura, il che costringerebbe le lavoratrici a viaggi di 3 ore al giorno. L’azienda sostiene che il “panino libero” ha causato un drastico calo della produzione. «Solo nel mese di ottobre – dichiara la Camst - abbiamo registrato una riduzione delle comande per un totale di 1472 pasti al giorno, un calo del 9,63% della produzione». La stessa azienda sostiene che i 26 esuberi sono stati calcolati facendo riferimento al capitolato d’appalto che stabilisce l’utilizzo di un addetto ogni 55 pasti.
Le 600 lavoratrici Camst, gran parte di loro monoreddito, percepiscono un salario di 450 euro al mese per 15 ore di lavoro settimanali. È inaccettabile che debbano essere loro le vittime di tale situazione.
Concludiamo con una riflessione. Non ci pare un bella idea porre in alternativa la “liberalizzazione del panino” al servizio mensa perché caro e scadente. Il servizio mense scolastiche, al pari degli altri servizi sociali, deve essere considerato una conquista irrinunciabile, da difendere con determinazione. Se il servizio è troppo costoso e qualitativamente scadente, genitori, docenti, lavoratori della scuola e degli appalti mensa dovrebbero lottare uniti per garantire, in termini di costo e di qualità, l’accessibilità di tale servizio a tutti gli alunni.
Il panino “libero” è un panino “avvelenato”!
Corrispondenza da Torino