Alla “generazione più istruita di sempre”, secondo la definizione del Presidente BCE Mario Draghi, quella nata negli anni ’80, sembra negato definitivamente il sogno piccolo –borghese di salire nella scala sociale usufruendo dei suoi titoli di studio. Agli ex ragazzi che stanno superando i trent’anni non si offrono garanzie né posti di lavoro stabili. I ragazzi ancora più giovani, invece, possono sempre fare gli stagisti per provare a farsi “notare e valere” (Repubblica, 11.10.16)
C’è la crisi, c’è poco lavoro, così ci ripetono da quasi dieci anni. Ma, invece di distribuire il lavoro che c’è, salvaguardando il livello di vita per tutti, come farebbe una società evoluta e razionale, dobbiamo assistere – complice la crisi, ma non solo – al lento sgretolarsi delle conquiste ottenute dal movimento operaio nei decenni precedenti, e insieme anche al rischio di perdere la memoria storica e l’abitudine a riconoscere le radici dello sfruttamento, così da assuefarsi a condizioni di vita sempre più irrazionali e ingiuste. Così, paradossalmente, la generazione più istruita di sempre, oltre a non poter esercitare nel concreto le proprie potenzialità, riesce difficilmente a mettere a fuoco le dinamiche che ne sconvolgono il futuro, immediato o lontano, a seconda che si pensi a un lavoro per l’oggi o a una pensione per il domani.
Eppure queste nuove generazioni hanno l’interesse vitale di vederci chiaro e capire cosa si prepara per loro e perché, altrimenti non basterà la loro istruzione a farne individui più lucidi delle generazioni di lavoratori analfabeti e semi-analfabeti che li hanno preceduti. Anzi, possono correre il rischio di essere molto più manipolabili e meno coscienti, e molto meno combattivi rispetto a loro.
Il rapporto ISTAT di inizio autunno riporta dati che dovrebbero allarmare tutti, ma queste nuove generazioni in particolare. La disoccupazione, con qualche fluttuazione, si aggira sempre intorno all’11,5%. Ma nel periodo gennaio-agosto 2016 sono crollate le assunzioni (meno 351.000 rispetto al 2015, e c’è chi ne stima anche di più) e i licenziamenti sono schizzati a oltre il 30% in più. Il numero degli occupati è aumentato solo per gli ultra-cinquantenni (e ti credo, dato che non possono più andare in prensione). Per la fascia di età dei giovani tra i 15 e i 24 anni il numero degli occupati è rimasto più o meno lo stesso di un anno fa. Ma per la fascia di età compressa tra 25 e 49 anni il numero di occupati è calato di 238.000 unità in un anno, il dato più allarmante di tutti.
In ogni caso la contrazione per tutte le fasce di età era facile a prevedersi, una volta finito l’effetto del super-bonus sulle nuove assunzioni. Quasi tutte, ormai si è capito, erano regolarizzazioni di contratti già in corso, e le imprese ne hanno approfittato finché hanno potuto. Finita la festa, come si suol dire, gabbato lu santu. Crollano soprattutto le assunzioni a tempo indeterminato “mentre invece l’abolizione dell’art. 18 contenuta nel Jobs Act ha fatto impennare il numero dei licenziamenti. In altre parole, come pure avevano ammonito molti economisti e i critici della riforma del lavoro Renzi, non appena è venuta meno la convenienza ad assumere, il numero delle conversioni di contratti più precari e delle assunzioni “nuove” si sta riducendo sempre più rispetto al boom del 2015, “drogato” dagli incentivi più generosi. E invece, come ovvio, le imprese cominciano gradualmente a usufruire sempre più della nuova libertà garantita dal Jobs Act di liberarsi del personale. Per adesso si tratta di numeri modesti, ma il ritmo di crescita è notevole” (La Stampa, 18.10.16). Se lo dice anche la stampa borghese, c’è caso che il fenomeno cominci a essere evidente.
E naturalmente, come corollario conseguente, le false partite IVA ritornano in auge e registrano un segno più di 129.520, nel periodo gennaio agosto 2016, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. “Giusto un anno fa, eravamo ai primi di novembre, Giuliano Poletti annunciava in tv che nel 2016 non sarebbero più state possibili le finte partite IVA: - Nel Jobs Act – spiegava il ministro del Welfare - abbiamo messo una riga forte tra lavoro autonomo e subordinato, intervenendo su un’area grigia che prima era molto presente - ” (Repubblica, 18.10.16). Figuriamoci…
Secondo Il Fatto Quotidiano del 18 ottobre gli sgravi fiscali, ovverossia i maxi regali alle imprese, sarebbero costati oltre 14 miliardi. Dal punto di vista occupazionale i risultati sono praticamente nulli, ma è già pronta una nuova idea geniale: spostare gli incentivi pieni legati al Jobs Act – niente contributi per tre anni – “alle aziende che entro sei mesi dal conseguimento del diploma o della laurea assumono in modo stabile l’ex stagista che si è fatto notare e valere” (Repubblica, 11.10.16); elargire sgravi triennali anche a chi adotta gli stage previsti dalla Buona Scuola (!), cioè l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti degli ultimi anni delle superiori; rilanciare il progetto Garanzia Giovani (buono, quello) con un superbonus.
Fra un po’ di tempo ci diranno che questi omaggi non sono serviti a niente, ma intanto le imprese se li saranno intascati.
L’unico buon risultato sarebbe se i giovani coinvolti riuscissero a vedere soluzioni alternative e collettive a quella tutta individuale di “farsi notare e valere”.
Aemme