I sindacati dei tessili hanno proclamato una mobilitazione nazionale della categoria, articolata in scioperi che hanno interessato tutto il territorio nazionale a partire dal 18 novembre. In ogni regione, o meglio, in ogni gruppo di regioni, i lavoratori hanno scioperato 8 ore. Si tratta del primo sciopero nazionale di categoria dopo oltre venti anni. Se questa lungo periodo di “pace sociale” può spiegare le condizioni sempre peggiori in cui si sono trovati i tessili, la grande adesione alle manifestazioni e ai presìdi è un segnale di combattività e di fiducia incoraggiante.
I tessili sono una categoria importante dell’industria che conta circa 420mila lavoratori, il 90% donne, distribuiti in 50mila aziende. La media dei salari è sui mille euro. L’associazione padronale ha interrotto le trattative per il contratto nazionale, scaduto lo scorso marzo, il 20 ottobre. La pretesa dei datori di lavoro è di pagare gli aumenti contrattuali soltanto “ex post”, cioè quando scade il contratto nazionale. Oltre a questo, vorrebbero introdurre una serie di peggioramenti come la diminuzione dei giorni di ferie per gli impiegati, l’ulteriore decurtazione del trattamento per i primi tre giorni di malattia (già oggi sono pagati al 50%) e una riduzione delle libertà sindacali per i delegati dei lavoratori.
Nelle interviste ai lavoratori davanti ai presìdi svolti sotto alle sedi della Confindustria a Biella, Ancona, Prato, Vicenza era chiara la volontà di lottare per salari un po’ meno indecenti di quelli attuali. I profitti fatti in questi anni dai maggiori marchi della moda, le famose “eccellenze” italiane di cui si parla tanto, consentirebbero questi aumenti. Tanto più che, come ricordava un sindacalista, tra i primi 50 gruppi industriali italiani ci sono diverse aziende tessili.
La lotta dei lavoratori tessili continua ed è prevista una manifestazione nazionale entro il 20 dicembre.