Alla Foodora di Torino sciopero contro il cottimo

I lavoratori che consegnano i pasti a domicilio dicono basta al superfruttamento. Solidarietà attiva dei rider di Milano uniti in presidio ai compagni di lavoro torinesi.


Niente pizza a casa dei torinesi! Sabato 8 ottobre i 200 lavoratori di Foodora hanno scioperato contro le condizioni di lavoro indegne, la paga a cottimo e in solidarietà con i due compagni di lavoro licenziati per aver protestato per primi. Lunedì venivano avanzate le rivendicazioni: abolizione del contratto Co.co.co. e del cottimo.

L'azienda tedesca, con sede a Milano e a Torino, si occupa della consegna a domicilio di pasti caldi cucinati in ristoranti della città. Foodora utilizza una piattaforma web per distribuire gli ordini di consegna ai lavoratori. Questi sono assunti come collaboratori, dunque senza un contratto di lavoro dipendente, pagati 2 euro e 70 a consegna (sino a qualche mese fa la paga era di 5 euro e 40 all’ora, poi l’azienda ha deciso di passare al cottimo). Il mezzo di lavoro principale, la bicicletta, non è fornita da Foodora. Questi giovani “rider” supersfruttati devono dunque usare la propria bici ed accollarsene la manutenzione. Per quanto riguarda il box portavivande, la divisa ed il casco, versano una cauzione di 50 euro. Agli ultimi assunti il caschetto non è stato neppure consegnato.

Si tratta di un lavoro durissimo, svolto in tempi strettissimi e a ritmi frenetici: ordinazione tramite web, ritiro e consegna del pasto al massimo in tre minuti, anche ad alcuni km di distanza, persino se nevica. Un lavoro, dunque, pure rischioso!

I dirigenti di Foodora in un primo tempo, si sono dichiarati disponibili ad «ascoltare i ragazzi. Non collettivamente, ma “face to face”». Secondo costoro il servizio di Foodora non deve essere inteso come un lavoro per “sbarcare il lunario”, ma come «un’opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio». Le sole parole vere sono le ultime due. Nelle altre trapela solo l’arroganza e la faccia tosta del padrone.

Sono gli stessi lavoratori a dire come stanno davvero le cose. «Io faccio questo lavoro per vivere e mantenermi agli studi – spiega uno di loro -, lavorando come un pazzo sono arrivato a prendere fino a 300 euro al mese. Non ho genitori alle spalle, devo pagarmi l’affitto, lo studio e vivere con quei soldi che, ovviamente, non sono sufficienti». Dopo un lungo silenzio durato sino a giovedì 13 ottobre, gli stessi dirigenti hanno fatto un’offerta che, giustamente, i lavoratori hanno considerato indecente: la paga elevata a 3 euro e 70 a consegna e l’attivazione di convenzioni per la riparazione delle biciclette. Da sottolineare che la comunicazione non è stata fatta in un incontro che si sarebbe dovuto tenere quel giorno e poi revocato, ma via mail. Anche le relazioni sindacali stanno dunque diventando virtuali!

Il giorno dopo i rider torinesi, che continuavano a scioperare ad oltranza, hanno incontrato i compagni di lavoro meneghini (a Milano la paga è oraria e un pochino più alta, 5 euro all’ora) per discutere insieme come proseguire la lotta. I lavoratori riuniti in assemblea hanno così deciso di manifestare uniti con un presidio a Torino in piazza Castello domenica 16 ottobre.

I lavoratori di Foodora hanno detto basta al supersfruttamento. Non lo hanno detto “face to face”, ma con la lotta. È un piccolo ma importante esempio di come ci si deve opporre alle inaccettabili ed innumerevoli forme di lavoro cosiddette “a tutele crescenti” che, in verità, tutelano in modo crescente solo i padroni.

Corrispondenza da Torino