Per la morte di Giacomo Campo, 25 anni, è intervenuto anche il Presidente della Repubblica con una nota che unisce alle consuete immagini retoriche (“Ogni morte sul lavoro costituisce una ferita per l’Italia”) una constatazione perfino ovvia: “Non è ammissibile che non vengano adeguatamente assicurate garanzie e cautele per lo svolgimento sicuro del lavoro”. Probabilmente il Presidente Mattarella avrà presente che i morti sul lavoro oscillano tra i tre e i quattro al giorno, tutti i giorni, e non una volta tanto, in occasione dell’attenzione del Presidente. Ma da qualsiasi posto di lavoro potrebbero confermare: garanzie e cautele possono esserci…compatibilmente alle esigenze del profitto.
A un paio di giorni dalla brutale uccisione di Abd Elsalam, travolto da un camion mentre partecipava a un picchetto davanti alla sua azienda, e forse anche per l’ondata di sdegno che ha riportato per un attimo i riflettori sulla condizione operaia, la morte di lavoro ha costretto i media a occuparsi di due eventi tragici: uno all’Ilva di Taranto, che ha fatto ancora una volta parlare di sé per un infortunio mortale, accaduto a un operaio di una ditta dell’indotto, la Steel Service; l’altro avvenuto nel deposito Atac sulla linea Roma-Viterbo, a un operaio che è stato ritrovato senza vita, probabilmente per una scarica elettrica mentre riparava delle attrezzature. L’incidente di Taranto è avvenuto mentre l’operaio stava effettuando un intervento di manutenzione sul rullo di un nastro trasportatore. Ovviamente l’impianto avrebbe dovuto essere fermo e in sicurezza, e dato che invece si è rimesso in movimento, schiacciando l’operaio tra il rullo e il nastro, ora saranno molte le indagini e gli accertamenti che dovrà svolgere la Procura di Taranto, dopo aver inviato avvisi di garanzia a dodici indagati, e aver nominato i soliti periti ed esperti.
Anche per l’incidente di Roma ci saranno indagini e accertamenti; una commissione interna è già al lavoro per accertare le cause. Ma, al netto dei procedimenti di legge e dei processi che si dovranno tenere, come andrà a finire possiamo già immaginarcelo. L’abbiamo visto tante volte, dato che rarissimamente in questi casi chi sbaglia paga. A qualche giorno dalla tragedia di Taranto, i sindacati confederali dei metalmeccanici hanno proclamato un’ora di sciopero nazionale per chiedere “sicurezza sul lavoro”, assicurando “il massimo impegno e determinazione per garantire un lavoro sicuro”. Certo l’ora di sciopero non sarà decisiva.
L’attenzione del Presidente della Repubblica rende un infortunio mortale più visibile, non più tragico; il conteggio dei morti è un triste elenco che nel 2015, secondo i dati Inail, ha visto in ripresa gli incidenti che sono costati la vita. Nonostante la crisi e la chiusura di molte fabbriche, fra grandi e piccole, nonostante le denunce di infortuni sul lavoro in genere siano in calo del 3,92% rispetto all’anno precedente, le denunce di infortunio mortale invece sono state 1.172, in aumento sul 2014 per la prima volta dopo 10 anni. I dati più drammatici si rilevano nel settore edilizio, nel settore trasporti-logistica, nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione, nel comparto manifatturiero. Nel settore edilizio – come sempre – i numeri assoluti sono i più alti, ma anche l’incremento, + 24%, è terribile, seguito a brevissima distanza dal settore logistica- trasporti (+23%), mentre nei servizi di alloggio e ristorazione gli infortuni mortali passano da 18 a 27, quasi raddoppiati, e nella manifattura aumentano del 16%.
Un dato importante per capire le dinamiche degli infortuni mortali è quello relativo all’età: l’incremento maggiore riguarda soprattutto i lavoratori più anziani, nella classe tra i 60 e i 64 anni, un incremento del 42,2% da ascrivere quasi integralmente alla politica sulle pensioni. Pensare che, con il pretesto dell’aumento dell’aspettativa di vita, si possa salire su un’impalcatura o guidare un camion o svolgere un qualsiasi lavoro che richieda attenzione, con la stessa efficienza dai 20 ai 70 anni, è evidentemente demenziale. Come è noto, però, si tratta proprio della logica seguita da tutte le ultime riforme pensionistiche.
Questi comunque sono i dati ufficiali 2015 secondo le denunce Inail; secondo l’osservatorio Indipendente di Bologna, che monitora in tempo reale le morti per infortunio e aggiorna costantemente i dati, dall’inizio del 2016 i morti sul lavoro sarebbero oltre 1000 già alla fine di settembre. Di questi, più o meno la metà sono dovuti a incidenti avvenuti sul posto di lavoro, e non in itinere (cioè lungo il percorso per raggiungere il posto di lavoro).
Possiamo anche ammettere che il rischio zero sul lavoro forse non sia realistico. Ma qui si tratta di numeri altissimi, e costanti - in crescita, come abbiamo visto - nel tempo. Se aumentano precarietà e ricattabilità sui posti di lavoro, se diminuiscono le tutele, come è avvenuto con il Jobs Act, se la sicurezza viene considerata un costo, un ostacolo alla realizzazione del massimo profitto, se i lavoratori sono messi costantemente di fronte all’alternativa tra accettare le condizioni imposte dei padroni o subire il licenziamento, se l’età della pensione non arriva mai…ci si potrà esercitare quanto si vuole a deprecare che manchino “garanzie e cautele per lo svolgimento sicuro del lavoro”. Il numero dei morti sarà oggetto ufficiale di biasimo e cordoglio, ma nei fatti rimarrà un dettaglio accettabile, uno sgradevole, inevitabile prezzo da pagare per tutelare i profitti.
Aemme