Mentre giornali e televisioni ci sommergono di dibattiti, polemiche, analisi e articoli sulla riforma della Costituzione, sulla riforma del sistema elettorale e sul referendum del 4 dicembre, la vita, quella vera, continua. E per quanto riguarda noi lavoratori, continua male. Nel “loro” mondo ci si misura in olimpiche lotte sul senso del diritto costituzionale o sulle dosi di bicameralismo più idonee a gestire uno Stato che rimane comunque un attrezzo del gran capitale. Nel nostro mondo, invece, un’ondata di licenziamenti, come l’ha definita la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso miete nuove vittime. Lavoratori licenziati alla Natuzzi (quella di Divani & Divani), 330, licenziamenti per chiusura dei Call-center dell’Almaviva, 2500, licenziamenti alla ex Alstom di Sesto San Giovanni, 100. Perfino alla Cavalli, fiore all’occhiello della moda italiana si annunciano 200 licenziamenti su 600 dipendenti. Crisi e chiusure di impianti che si aggiungono ad una lista già strabordante con situazioni che si trascinano da anni come quella della Franco Tosi di Legnano o quella delle acciaierie di Piombino.
Per Renzi un bel “Sì” al quesito referendario risolverà tutto, dalla crisi economica al vaccino contro l’epatite C. Per il fronte opposto, di cui fanno parte anche una parte degli originari estensori del progetto di riforma, sulle barricate del “No” si combatte l’ultima battaglia in difesa della democrazia contro l’involuzione autoritaria dello Stato. Uno dei campioni del “No” è…Renato Brunetta. C’è da rabbrividire!
La verità è che, vigente questa Costituzione, niente ha impedito i più duri colpi inferiti alle condizioni dei lavoratori negli ultimi decenni.
In sostanza, si tratta di una battaglia tutta interna al mondo dei politicanti e dei partiti parlamentari. Gli obiettivi sono per gli uni fare fuori Renzi e il suo governo e, per gli altri, cercare direttamente nell’elettorato un consenso di massa, appoggiandosi anche su qualche briciola promessa in occasione della legge di stabilità, mostrando contemporaneamente tanto alla grande borghesia di casa propria che a quella internazionale la “serietà” di un esecutivo che, dopo anni di discorsi, fa veramente le riforme.
Per quanto, naturalmente, si cerchi di invischiarli e convincerli come “cittadini”, i lavoratori non sono che una pedina insignificante per gli uni e per gli altri. Sono utili i loro voti, certo. Ma dell’abisso verso cui corrono le loro condizioni non si parla che poco e in modo superficiale nei discorsi dei fautori del “Sì” come in quelli del “No”. Questo smaschera la loro sostanza di classe, la loro gara per essere i migliori rappresentanti degli interessi del grande capitale, quelli che vogliono far marciare la macchina del profitto con meno costi e meno attriti burocratici possibile.
Ora tutti fanno appello al voto dei cittadini. Ma come classe sociale, i lavoratori salariati non sono cittadini, sono sudditi. Sudditi di una monarchia assoluta del capitale che costituisce la vera essenza del potere politico, la costituzione reale.
Per quanto si possa capire che la parte più combattiva dei lavoratori voglia usare il referendum per manifestare la propria opposizione al governo Renzi, il vero nodo politico rimane l’assenza di una forza organizzata che rappresenti gli interessi fondamentali della classe lavoratrice. I lavoratori che si sono stufati, giustamente, di subire le decisioni politiche altrui, devono mettere ogni loro energia nel lavoro di costruzione di un partito che li rappresenti come classe, smettendola di delegare ad altri il compito di combattere le proprie battaglie.
Non si può escludere per principio che un partito operaio, organizzato su un programma di opposizione al capitalismo, possa discutere al proprio interno se e come schierarsi in un referendum maturato nell’ambito dei partiti della borghesia, ma oggi questa domanda non ha senso, il problema appunto è che non c’è nessun partito operaio.