Che si tratti di uragani, di maremoti, di alluvioni o di terremoti, gli effetti dei fenomeni naturali più estremi ci mettono sempre davanti alla stessa domanda: allo stato attuale delle conoscenze tecniche e scientifiche, sarebbe stato possibile evitare in tutto o in parte la perdita di vite umane? La risposta, quasi sempre è sì.
Ed è così anche per il sisma che ha colpito il centro Italia nella notte tra il 23 e il 24 agosto. La terra ha tremato in Umbria, in Lazio, nelle Marche. Quasi trecento i morti, in paesi e frazioni di solito ben poco abitati ma che si ripopolano d’estate; Amatrice, Accumoli, Arquata, Pescara del Tronto. Quasi trecento morti per un terremoto molto forte ma non catastrofico, secondo i criteri della sismologia. Un bilancio da terzo mondo.
Si dice che i terremoti non si possono prevedere. Ma c’è qualche cosa di inesatto, di superficiale in questa affermazione. L’Italia è forse il paese a più alto rischio sismico d’Europa e lo si sa da almeno un paio di secoli.
Dal 1905 a oggi ci sono stati 31 terremoti che gli esperti definiscono molto forti, cioè uguali o superiori a 5,8 gradi della scala Richter. In altre parole, uno ogni tre anni e mezzo. Certo, non si può dire in anticipo il giorno e l’ora di un evento sismico, ma si sa con assoluta certezza che ci sarà. Non solo, si conoscono anche le aree del territorio con più alta probabilità di terremoti. Le mappe, i dati, le serie storiche, sono a disposizione di tutti. Basta, ad esempio, consultare il sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Un paese che si colloca nel gruppo delle prime dieci economie sviluppate del mondo non ha saputo trovare, fino ad oggi, i mezzi per proteggere la popolazione dagli effetti di questi fenomeni connaturati alle sue caratteristiche fisiche. In Italia, ci spiegano sismologi, geologi e vulcanologi, convergono la placca africana e quella euroasiatica e questo, almeno per qualche milione di anni, è un dato permanente con il quale è criminale non fare i conti.
Ad offuscare la verità, come al solito, ci si è messo il giornalismo da barzelletta che ha riproposto le solite dosi massicce di melassa. Lo stile dei reportage televisivi e di quelli pubblicati dai maggiori quotidiani, ancora tre o quattro giorni dopo il terremoto, indulgevano sulle case squarciate, sulle lacrime dei parenti, sull’eroismo dei vigili del fuoco e dei tanti volontari. Anzi, immediatamente sono divenuti oggetto di prime pagine e di insulse interviste proprio i volontari, arrivati in un numero che probabilmente ha causato più di un problema logistico, non ultimo il loro vettovagliamento. Non è cambiato niente dai tempi delle copertine della Domenica del Corriere disegnate da Walter Molino. L’operazione, vergognosa, è sempre la stessa: suscitare, con la pietà per le vittime e l’ammirazione per i soccorritori, un sentimento equivoco di “unità nazionale” che metta in ombra le responsabilità delle classi dirigenti. Pochissime le occasioni in cui si sono fatti parlare, con il tempo o lo spazio necessario, degli ingegneri o dei sismologi. Poi, al seguito delle “massime autorità”, i cameramen hanno seguito con servile diligenza le passeggiate di Renzi, di Mattarella, di Alfano per le strade piene di macerie. “Questa volta - hanno giurato – non andrà come a L’Aquila”. Ma anche dopo il terremoto dell’Aquila Berlusconi disse che non sarebbe andata come l’Irpinia…
Ma ritornando ai fatti, e i fatti sono un paese intero raso al suolo, Amatrice, compresa la scuola, che avrebbe “beneficiato” di recente di interventi antisismici, e crolli disseminati in tutti gli altri paesi coinvolti. Bisogna dire chiaro che si tratta di un disastro del capitalismo, aggravato dalle sue peculiarità italiane. Camorre di vario tipo, corruzione diffusa, indulgenza clientelare nei confronti degli stessi proprietari di case e dei loro interventi sui propri immobili, probabilmente “condonati” a suo tempo ma senza dubbio al di fuori di ogni criterio antisismico, mancanza di controlli adeguati, ma, soprattutto, nessuna pianificazione di lungo periodo per rendere sicuri i centri abitati. Le leggi, che a detta di molti sono buone, rimangono lettera morta e più del 70% degli immobili, scuole ed ospedali compresi, non sono conformi ai criteri antisismici.
Man mano che la polvere delle macerie si deposita a terra, si riconosce il profilo noto di due vecchi compari: il politicante arraffa voti e il capitalista da rapina. Il gatto e la volpe. Tutti e due sono ben poco disposti a investire in progetti che si dispieghino in decine di anni, che non diano un immediato ritorno in termini di profitto o di consenso elettorale. Hanno bisogno l’uno di conquistarsi la simpatia degli elettori almeno fino alle prossime elezioni, l’altro di mettersi in tasca più soldi possibile nel minor tempo. Ed è facile azzardare una previsione: finché tutti i gatti e tutte le volpi non saranno cacciati a furor di popolo dai posti di comando, continueremo a piangere i morti nelle prossime inevitabili catastrofi naturali.
R.Corsini