Uno strumento logorato

I leader dei partiti possono fare tutte le dichiarazioni che vogliono: la verità è che le elezioni comunali del 5 giugno e i ballottaggi del 19 hanno mostrato un unico vero vincitore: l’astensionismo.

Si è votato in 1342 comuni e gli aventi diritto al voto erano 13 milioni. Un campione non trascurabile di popolazione il cui comportamento di fronte alla chiamata alle urne ha un significato che va oltre il carattere locale delle consultazioni.

L’Istituto Cattaneo ha preso in esame i 25 capoluoghi nei quali si è votato. Rispetto alle Comunali del 2011, la partecipazione al voto è passata dal 62,3 al 57,6 per cento al primo turno. Ai ballottaggi è precipitata 50,5%.

Anche il movimento dei Cinque stelle, che pure a Roma ha avuto un successo indubbio, vede nel complesso una flessione dei consensi in numero assoluto rispetto alle ultime due tornate elettorali. Il fatto che il non voto sia ormai più forte al Nord che al Sud sottolinea la gravità della crisi che colpisce il sistema “democratico”. La Milano delle “eccellenze”, la seconda capitale d’Italia, per anni portata ad esempio per le sue tradizioni civiche, ha visto poco più della metà dei suoi cittadini recarsi alle urne. Che cosa sta succedendo? Sta succedendo che i tradizionali strumenti di controllo sociale sono in crisi e funzionano sempre meno.

Naturalmente, quello che ha occupato le prime pagine dei giornali, assieme ai litigi interni al PD, è la “conquista” di Torino e di Roma da parte del partito di Beppe Grillo. Ma il dato centrale, ripetiamolo, è l’aggravamento della crisi del sistema democratico-parlamentare.

Per molti anni le classi dirigenti, cioè gli uomini del grande capitale, hanno beneficiato di una rete di istituzioni e di partiti che riusciva a catturare e indirizzare il malcontento popolare. Molto spesso, anzi, il malcontento veniva “capitalizzato”, divenendo addirittura una base di consenso di massa, per quello stesso sistema che ne era la causa.

Oggi la massa degli “scontenti”, composta in grandissima parte dai lavoratori, dai precari, dai disoccupati e dai pensionati, accorda sempre meno fiducia ai meccanismi e ai rituali della politica ufficiale. Una parte di loro si rifugia nelle liste 5 Stelle, ma la maggioranza di loro non va nemmeno a votare.

Un altro dato merita la nostra attenzione: alla politica ufficiale, fatta di partiti e di movimenti che sono tutti invariabilmente sul terreno della conservazione del regime capitalistico e si dividono solo sulla pretesa di servirlo meglio, non si contrappone, né nella competizione elettorale, né nella società, un partito della classe lavoratrice. È urgente mettersi al lavoro per costruirlo, anche perché c’è il pericolo che l’indebolimento dei tradizionali strumenti di controllo sociale spinga le classi dirigenti a incoraggiarne altri ancora peggiori, fuori o dentro gli ambiti istituzionali.

R.C.