Dopo tre mesi di lotta contro la “legge lavoro”, il Jobs act varato dal governo francese di Hollande e Valls, il movimento è andato avanti, come ha dimostrato la manifestazione nazionale del 14 giugno a Parigi, una manifestazione combattiva ed entusiasta in cui hanno sfilato più di centomila lavoratori venuti da tutto il paese.
Governo, padronato e mass media hanno risposto versando fango sul movimento col pretesto delle violenze causate da un pugno di sfasciatori, accusando i lavoratori e i sindacati di complicità e minacciando di vietare le manifestazioni. Hanno detto che bisognava osservare una tregua in solidarietà con le vittime delle inondazioni o per non ostacolare la tenuta dell'euro di calcio. Ma è evidente che i lavoratori non sono rassegnati e pronti ad accettare questa legge che mette in discussione gran parte dei loro diritti. Anzi, questo movimento segna una ripresa di combattività contro gli attacchi dei padroni e del governo.
Questi non osservano una tregua nella loro offensiva, allora come mai i lavoratori lo dovrebbero fare? E poi si può essere tifoso di calcio, si può anche essere sinistrato, e non accettare la demolizione del codice del lavoro! Basta con questo ricatto che fa sempre in modo che i lavoratori tacciano e subiscano. Fanno sacrifici da anni, devono farsi in quattro, essere sempre più flessibili, lavorare sempre più, sacrificarsi sempre ed ancora, tutto ciò solo perché gli azionisti ed i manager si riempiano ancora di più le tasche.
Adesso il governo vorrebbe imporre un progetto respinto in maniera massiccia dalla popolazione e dalla quasi-totalità dei lavoratori. Con questa legge il padronato potrà, con un accordo aziendale, derogare ai diritti stabiliti nei contratti collettivi nazionali di lavoro. È evidente che così gli arretramenti delle condizioni di lavoro si moltiplicheranno. Sarà più facile licenziare e la precarietà aumenterà ancora. I lavoratori l'hanno capito, e dopo qualche esitazione i dirigenti sindacali, Cgt e Sud in particolare, hanno dovuto uscire dalla loro inerzia ed assumersi l'organizzazione della protesta, segnata da parecchie giornate di sciopero e manifestazioni. Alcuni settori, come i ferrovieri, i netturbini, gli operai delle raffinerie e dei porti hanno anche deciso lo sciopero ad oltranza.
Gli arretramenti sulle condizioni di lavoro ed i salari sono la realtà vissuta da milioni di lavoratori dipendenti. Dai ferrovieri fino ai piloti d'aereo e agli operai della Peugeot o della Michelin, questa offensiva assume esattamente la stessa forma: quella di piani di competitività in cui occorre lavorare di più, con più flessibilità e meno compensazioni salariali, quando non si tratta direttamente di diminuire i salari come alla Air France.
Il governo ed il padronato scommettono sull'usura del movimento. Alcuni lavoratori hanno fatto otto, dieci, venti giorni di sciopero, molti ferrovieri o lavoratori delle raffinerie hanno sacrificato un mese di salario nello sciopero. Ma finché la contestazione continua, la partita rimane aperta. Inoltre la sfida di questa mobilitazione va oltre il solo futuro di questa legge.
La contestazione copre esasperazioni più globali, una rabbia più ampia contro l'offensiva generale del padronato e la marcia indietro dell'insieme della società. Lo dimostra la varietà dei settori che si sono lanciati nella lotta: giovani, lavoratori del pubblico e del privato, delle imprese grandi e piccole. Una frazione dei lavoratori vuole rovesciare il rapporto di forza con il padronato. In molte imprese del paese, dei lavoratori si sono organizzati, hanno fatto sciopero e manifestato, e comunque non vogliono più tacere.
Questo fatto è il più importante per il futuro, perché i lavoratori non l'hanno fatta finita con gli attacchi padronali. Ma se prendono l'abitudine di rispondere con la lotta, le cose andranno ben diversamente. Sarà certamente una lotta a lungo termine, ma il mondo del lavoro ha risorse e una forza immensa che ha solo cominciato a mettere in moto.
A.F.