Buste arancioni senza futuro

“E’ già pronto il logo!” ha annunciato da non molto il premier Matteo Renzi. E’ pronto il logo, è pronto il progetto, l’INPS sa già tutto…siamo pronti per l’ennesima controriforma delle pensioni. La numero 9, per l’appunto: la propaganda è tutto, e il terreno è stato preparato. Già il fatto che una delle preoccupazioni sia la presentazione, l’immagine (il logo) la dice lunga sulle intenzioni. Sarà un’ape, a quanto pare (Anticipazione della Pensione: APE). L’insetto operaio per eccellenza.


Già da un po’ i giornali hanno iniziato a pubblicare i loro pezzi di colore sui “fortunati” primi destinatari delle buste arancioni dell’INPS. Abbiamo visto anche in tivù le facce sconcertate di giovani nati a fine anni ’70 rigirare fra le mani la fatidica missiva, come se il loro futuro – o meglio, l’assenza del loro futuro – gli si fosse improvvisamente rivelata come una novità assoluta. Sotto certi aspetti è questo uno dei successi più velenosi che la società capitalista abbia conseguito nei confronti della classe lavoratrice nel corso degli ultimi trent’anni: spogliarla lentamente delle conquiste che ormai dava per scontate, un pezzo alla volta, ma con l’abilità dell’illusionista che non mostra i suoi trucchi e fa sembrare come se fosse l’unica soluzione sensata ciò che in realtà è un disastro. Dalla frantumazione dell’organizzazione del lavoro, alla precarizzazione totale delle condizioni, alla disoccupazione come condizione fisiologica, all’abbattimento dei redditi da lavoro dipendente, e infine all’esproprio dei contributi versati ogni mese sulle magre buste paga, tutto è stato presentato come un provvedimento razionale, di volta in volta facendo appello alla necessità di creare nuovi posti di lavoro, all’esigenza di contenere la disoccupazione, al risparmio per le casse pubbliche, alla tutela dei più deboli, al bisogno di assicurare la tenuta del sistema per le future generazioni, e via abbindolando.

Non stupisce quindi che, nonostante la massa di informazioni reperibili in teoria ovunque, in questa epoca di reti telematiche, la realtà delle 8 riforme delle pensioni che abbiamo alle spalle non avesse raggiunto tutti gli interessati; e questo provocasse la brusca caduta dalle nuvole, che rivela una prospettiva drammatica. Semplicemente, chi apre la busta arancione non riesce a credere che davvero gli si possa prospettare un futuro di pensionato a 70 anni e oltre, con un reddito davvero da fame. I più si affidano allo scetticismo, pensando che magari qualcosa cambierà, con una fiducia assolutamente immotivata nella possibilità che le cose possano cambiare (in meglio) da sole, magari con una croce sulla scheda elettorale, senza spendere un minimo di energia nella lotta per cambiarle concretamente.

Ovviamente, la comunicazione dell’INPS è per sua natura approssimativa, ma forse in senso addirittura ottimistico: le stime tengono conto di una crescita del PIL dell’Italia dell’1,5% annuo. E quando mai? Al momento siamo in fase di recessione, e un punto in più o in meno del PIL può determinare pensioni differenti fino oltre il 20%. Inoltre il calcolo è basato sui contributi finora accreditati e sulla proiezione di quelli che ancora mancano al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento…sempre che la carriera sia stabile e non presenti buchi di contribuzione. Bastano pochi anni di disoccupazione per veder scendere vertiginosamente la propria pensione. Contare su un cambio di Governo per invertire la rotta dovrebbe sembrare utopistico anche ai più sprovveduti: se non la storia, almeno la recente esperienza della Grecia dovrebbe insegnare come minimo che non basta cambiare Governo per cambiare politica.

Ormai si parla con disinvoltura di pensionamenti a 70 anni e oltre, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, per gente che entra nel mondo del lavoro a trent’anni e più. E naturalmente la voce della borghesia ha le sue soluzioni anche per questa eventualità: “Chi versa poco incasserà poco e quando si accorgerà dell’esiguità delle rendite pensionistiche, sarà sicuramente troppo tardi. […] Preparate i salvadanai, perché le contromisure sono indispensabili, visto che l’unico modo per evitare di andare incontro a una vecchiaia indigente è risparmiare. I modi sono molti, ma i fondi pensione sono gli strumenti specifici.”. (Il Sole 24 Ore, 9.5.16). I mercati finanziari non aspettano altro che un’altra iniezione di liquidi provenienti dalle tasche di chi già sa che il “primo pilastro”, quello della pensione pubblica, non basterà a sfamarci in vecchiaia. Con quali soldi i malcapitati potranno foraggiare il secondo pilastro, con stipendi da fame e lavori precari, il quotidiano di Confindustria non lo dice.

Qualora poi volessero evitare di superare i settant’anni prima di andare in pensione - premesso che da qui ai prossimi trent’anni non è dato sapere quali strade saranno possibili, perché la mobilitazione dei lavoratori non è un fattore estraneo - dovranno prepararsi a finanziarsela. Intanto si può iniziare con i nativi dei primi anni ’50, che avranno la ventura di usufruire del pensionamento “anticipato”. A quanto pare potranno andare in pensione tre anni prima accollandosi un mutuo da restituire in vent’anni, con comode rate da duecento/trecento euro mensili (in caso di premorienza, ci penseranno gli eredi?). Il provvedimento è diretto a una platea piuttosto ristretta, e prima di tutto a chi ha perso l’impiego e non ha ancora l’età della pensione. In sé è un piccolo capolavoro: con il jobs act si prepara il terreno alle aziende, che potranno ristrutturare quasi gratis, licenziando i vecchi dipendenti, costosi e poco produttivi; gli estromessi stessi finanzieranno la ristrutturazione aziendale di tasca propria, con un mutuo a loro carico, per raggiungere ciò che fino a pochi anni prima era un diritto acquisito.