In Italia si muore di più e si nasce di meno

I dati demografici Istat sono impressionanti. Le cause: invecchiamento della popolazione o continui tagli ai redditi e ai servizi sociali?


I bilanci demografici Istat degli ultimi 8 mesi del 2015 sono impressionanti. Il totale dei decessi in Italia è aumentato di 45mila unità rispetto allo stesso periodo del 2014, un incremento dell'11,3%. Ciò significa che, se il trend verrà confermato, a fine 2015 i morti saranno 666mila contro i 598mila dello scorso anno. Un aumento di 68mila unità concentrato soprattutto nella componente femminile (+41mila) e nella popolazione più anziana. Una simile impennata della mortalità si era avuta solo nel 1943 e, prima ancora, tra il 1915 e il 1918, gli anni della prima e della seconda guerra mondiale, contesti che spiegano ampiamente vertiginosi scostamenti demografici.

Lo stesso discorso vale per le nascite che, sempre nei primi otto mesi del 2015, hanno registrato una diminuzione significativa, quasi il doppio degli anni precedenti. Anche qui, se il trend verrà confermato, a fine 2015 il bilancio sarà di 24mila nati in meno rispetto all'anno precedente. Per la prima volta, le nuove nascite saranno meno di 500mila. Non solo, ma il decremento si verifica ora anche nei nati da stranieri.

Oggi, però, come si possono giustificare tali impennate? Economisti e scienzati della statistica ogni giorno si fanno in quattro per convincerci che la popolazione italiana è sempre più vecchia a conferma del progressivo benessere economico e sociale registrato nel nostro paese. Ma è sufficiente, o meglio, è corretto attribuire solo all'invecchiamento della popolazione la responsabilità di così forti incrementi di morti? Ugualmente, è giusto ritenere che così importanti cali delle nascite siano imputabili solo ai nuovi modelli familiari e culturali di una società iperurbanizzata e ipersviluppata economicamente? Il sito specializzato in dati demografici "Neodemos" fa notare infatti che, per quanto riguarda i decessi, «se i rischi di morte fossero rimasti invariati rispetto a quelli osservati di recente (Istat 2014), l'aumento del numero di persone anziane avrebbe dato luogo solo a 16mila decessi in più rispetto al 2014. E le altre 52mila unità aggiuntive a cosa sono dovute?».

C'è chi, però, si distingue, tra i tanti "sherpa" della scienza borghese, per una certa onestà intellettuale. E' il caso di Giancarlo Blangiardo, autorevole docente di demografia all'università Bicocca di Milano, il quale ha recentemente ammesso che questi dati non possono essere spiegati solo con l'invecchiamento della popolazone o con la recente diminuzione del ricorso alla vaccinazione. «Probabilmente altri fattori, meno evidenti, ma comunque determinanti, (ad esempio, crisi economica, degrado ambientale, diminuita solidarietà sociale) stanno contribuendo a delineare il quadro attuale... E' di tutta evidenza, infatti, come calo della natalità e aumento dei decessi siano fenomeni che hanno una stretta connessione con la condizione reale delle famiglie nel paese».

Come non dare ragione a Blangiardo? Sarebbe, però, opportuno precisare che la causa prima non si deve tanto ricercare nell'indiscutibile e gravissima crisi economica, quanto in chi l'ha creata e in coloro che attuano politiche volte a farne pagare i costi alla classe lavoratrice. I ricorrenti e pesanti tagli alla sanità, ad esempio, costringono lavoratori e pensionati, i cui redditi sono continuamente ridotti, a non curarsi più. E poi, è per lo meno fuorviante parlare genericamente di "invecchiamento della popolazione", quando i lavoratori sono falcidiati da malattie professionali devastanti ed infortuni sul lavoro spesso mortali? Sul fronte della natalità, infine, è del tutto evidente che si nasce di meno perché moltissimi giovani non possono più convivere o sposarsi a causa della precarietà lavorativa o della prolungata disoccupazione. E quando lo si può fare, si è già avanti con gli anni e i redditi sono ridotti al lumicino e non sono garantiti nel tempo.

Le crisi economiche, come le guerre, non nascono in modo spontaneo. Sono le conseguenze di un sistema economico e finanziario che non espande più le forze produttive da molto tempo, anzi le frena. Il progresso dell'umanità, quello vero, è continuamente messo in discussione da un modo di produrre basato sul profitto. Se la classe lavoratrice non riuscirà a rialzare la testa e lottare finalmente per scalzare la classe dominante, la borghesia, vedrrà inevitabilmente compromesso il proprio futuro e quello dell'umanità intera. Si continuerà a morire di più e a nascere di meno. Perché sempre più impoveriti da crisi e da guerre sempre più nefaste.

M. I.