Soldi a palate con l’industria della morte

Mentre si pronunciano infuocati discorsi contro il terrorismo e contro l’Isis o Daesh, mentre si dice di operare per la pace in Africa e Medio Oriente, si alimenta con un fiume di armi modernissime la corsa al massacro. I dati resi noti dalla Camera di Commercio di Mestre non lasciano spazio a dubbi. Dal 2010 al 2014 l’industria degli armamenti italiana, in grandissima parte monopolizzata dalla Finmeccanica, ha esportato in Medio Oriente e Africa del nord armi per un valore di 4,8 miliardi. Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Israele, in quest’ordine, sono i principali clienti. Da soli valgono l’86% dell’export in quest’area che rappresenta il secondo mercato di sbocco dopo l’Europa.

La ministra Roberta Pinotti, assediata dai cronisti, si è difesa con un argomento che la ridicolizza. Ha detto agli increduli giornalisti che tutto questo commercio è perfettamente legale, perché nessuno dei paesi-clienti è ufficialmente in guerra e perché se è vero che i soldi all’Isis vengono dall’Arabia Saudita o da altri paesi del Golfo, non vengono però dai loro governi ma da “fondazioni private”. Come se i regimi dispotici dell’Arabia e del Kuwait, nei quali ogni sussulto di pensiero in contrasto con le cricche al potere viene prontamente e duramente punito con metodi da Santa Inquisizione, potessero “non sapere” o “ignorare” le attività di queste… fondazioni. Intanto una spedizione di bombe, assemblate in Italia, partiva dall’aeroporto di Cagliari destinazione Arabia Saudita. Probabilmente, i destinatari finali delle bombe saranno gli abitanti dello Yemen, allegramente bombardati dallo Stato Saudita nel complice silenzio di tutti.

Quando un padre o una madre yemeniti vedranno saltare in aria a pezzi un proprio figlio, dilaniato da una bomba made in Italy, che cosa penseranno? Rimarranno ammirati dall’eccellenza dell’industria italiana? Oppure avvertiranno con gratitudine la presenza benigna di un governo di “sinistra” dietro alla macchina di morte saudita?

R.C.