L’unità dei lavoratori non ha nazione

L’annuncio della Merkel a fine agosto, la Germania accoglierà tutti i siriani che fuggono dalla guerra, da qualsiasi paese europeo siano transitati, ne accoglierà fino a 500mila l’anno, ha scosso tutte le diplomazie.

Come succede sempre quando una grande potenza prende una determinata iniziativa, questa diventa un dato di fatto e l’istinto solitamente codardo dei dirigenti politici vi si adegua immediatamente. Così, in poche ore, tutto è sembrato cambiare e ciò che prima sembrava impossibile è diventato possibile. Si è assistito a un’insolita gara a chi è disposto, almeno a parole, ad accogliere più rifugiati. Naturalmente, il “nostro” Matteo Renzi si è, più o meno, attribuito il merito del nuovo corso tedesco dichiarando che “l’Italia non può che esserne felice e orgogliosa”.

Ora, per restare all’Italia, le poche migliaia di disperati che arrivano con i barconi sono diventati un’arma scarica. Sull’immagine di un paese “lasciato solo a fronteggiare l’emergenza dell’immigrazione” avevano speculato politicamente tanto il governo quanto l’opposizione, perché un ingrediente classico della propaganda politica e della ricerca del consenso in Italia è sempre stato il vittimismo nazionale. Ma per quanto barconi e gommoni siano strapieni, le decine di migliaia che arrivano a piedi, superando spesso fili spinati e violenze di governi ultrareazionari e di improvvisate milizie, sono molti, molti di più e dall’Italia non passano nemmeno.

Ci si deve augurare che gli slanci di simpatia e di solidarietà spontanea nei confronti degli immigrati, non solo siriani, slanci che si sono verificati in tutti i paesi e ben prima dell’annuncio della Merkel, si estendano e si traducano in un atteggiamento di massa, per far retrocedere quel clima di odio e di xenofobia che fino ad oggi ha avvelenato anche gran parte dei ceti popolari in tutti i paesi dell’UE.

Comunque non bisogna farsi ingannare dai dirigenti europei, Francia, Inghilterra e Germania sono rispettivamente il terzo, quarto e quinto esportatore di armi nel mondo. Una prima spiegazione del voltafaccia del governo tedesco possono essere le esigenze di manodopera dell’industria e il rapido invecchiamento della popolazione. Non a caso il presidente della Confindustria tedesca, Ingo Kramer, è fra i più decisi sostenitori dell’integrazione rapida degli immigrati siriani, che si suppone, hanno una formazione professionale e un livello di istruzione più alto di quelli provenienti da altri paesi. Oltre a questo, la Germania pensa di ottenere un peso maggiore nello scacchiere mediorientale, rafforzando i propri legami con quella che potrebbe diventare la futura classe dirigente siriana o la sua base sociale di consenso, medici, avvocati, ingegneri, che certamente non sono la maggioranza dei rifugiati ma ne costituiscono una parte notevole. In questo modo, lascerebbe a Hollande e Cameron il lavoro sporco dei bombardamenti sulla Siria che i due capi di governo hanno annunciato per l’immediato futuro.

In tutto questo intrecciarsi di vicende, di interessi e di manovre politiche, esiste la necessità di un orientamento politico che corrisponda agli interessi generali della classe lavoratrice europea. Cerchiamo di definirne alcuni punti che ci sembrano fondamentali. In primo luogo, il dramma delle migrazioni di massa non dipende da qualche catastrofe naturale; è una conseguenza di crisi economiche e catastrofi politiche nelle quali le potenze europee e gli Stati Uniti hanno un ruolo di primo piano. La politica imperialista delle grandi potenze, gli interessi dei grandi gruppi industriali e finanziari dei quali è spesso espressione diretta, hanno contribuito in modo determinante a trasformare una parte del mondo in un inferno per le popolazioni locali.

In secondo luogo, bisogna rifiutare come assurda, inumana ed ipocrita la distinzione fra immigrati “economici” e rifugiati politici. Come se la persecuzione della miseria non fosse altrettanto disumana e insopportabile di quella dei governi dittatoriali o delle bande di tagliagole dell’Isis.

L’interesse dei lavoratori, in terzo luogo, è l’unità della propria classe. La grande maggioranza degli immigrati farà parte, prima o poi, della classe operaia. Quindi, tutti i pregiudizi, le resistenze, le chiusure culturali che ostacolano la piena integrazione degli immigrati, vanno combattuti come si combatte ogni tentativo di dividere la classe lavoratrice in gruppi artificiosamente contrapposti.

L’unità della classe lavoratrice si rafforza con la libertà di circolazione dei lavoratori. Per questo, in quarto luogo, bisogna battersi contro qualsiasi muro, qualsiasi frontiera che ostacoli la ricerca di un occasione di lavoro per uomini e donne di qualsiasi nazionalità.

Presto sentiremo ancora il vecchio refrain: “Non possiamo ospitarli tutti”. Ma di fronte alle ricchezze spaventose accumulate dai grandi gruppi industriali e finanziari in questi anni di crisi, ricchezze che si basano tutte sullo sfruttamento più sfrenato della forza-lavoro di qualsiasi nazionalità e sull’erosione dei salari, di fronte ai profitti così generosamente distribuiti alla borghesia tedesca, italiana, francese o inglese, non si può che contrapporre un altro motto: “Non posiamo continuare a farci dissanguare da voi”.