Mafia Capitale e capitale mafioso

Di quanti scandali è costellata la storia politica italiana? È praticamente impossibile tenerne il conto. Ma l'indagine su “Mafia Capitale” rivela, a detta di molti commentatori, il passaggio del tradizionale sistema di tangenti e bustarelle a uno stadio superiore. Ormai tutto un ceto di imprenditori-mafiosi controlla, o condiziona fortemente, l'amministrazione di molte città e di molte regioni, orienta l'operato di importanti settori di burocrazia fino al livello dello stato centrale.

Sul Messaggero di sabato 6 giugno, Carlo Nordio scrive a commento degli sviluppi dell'indagine romana: “Le tradizionali figure della concussione e della corruzione si dissolvono e si decompongono, per rivivere nelle sembianze di un mostro tentacolare che divora personaggi di destra, di centro e di sinistra, imprenditori e faccendieri, ex terroristi rossi e neri, cooperative assistenziali laiche e religiose”.

Nel commento di Nordio, sia pure con altre parole, si riconosce quella crisi cronica del capitalismo italiano di cui parliamo da tempo: “Fenomeni di tale complessità e pericolosità non nascono per un'improvvisa crisi civile o economica, ma affondano le radici in una degenerazione patologica più generale, che anticiperebbe inevitabilmente un collasso istituzionale”.

Quando parliamo di capitalismo italiano in crisi cronica intendiamo indicare un intero sistema. Parliamo, con l'espressione di Marx, di una formazione economico-sociale. Non solo di banche, borsa e imprese. Parliamo di vita civile, di stato, amministrazione, partiti.

La crisi economica iniziata nel 2008 ha ulteriormente esasperato quella specifica e patologica italiana. È avvenuto allora che mentre tutti gli intellettuali, gli editorialisti, gli esponenti dei partiti e del gran capitale ci spiegavano – nell'interesse dell'economia nazionale - la necessità impellente di diminuire la spesa pubblica, di liberarsi dei “lacci e laccioli” di una legislazione opprimente, di una burocrazia invasiva e di un eccesso di garanzie per i lavoratori, l'economia nazionale reale, cioè quella gestita e diretta dal mondo imprenditoriale, saccheggiava allegramente il denaro pubblico. Inoltre, prosperava proprio sulle inefficienze e sui “ritardi” di burocrazie e istituzioni asservite. Nello stesso tempo, con straordinaria efficacia e rapidità, si sono smantellati i pochi diritti rimasti al mondo del lavoro.

Il risultato, e non si tratta evidentemente della sola vicenda romana, è che il tasso di corruzione e di marciume è aumentato di pari passo con l'arricchimento di una minoranza privilegiata, con l'intensificazione dello sfruttamento nei luoghi di lavoro e con il degrado sociale.

L'insieme di relazioni politiche e affaristiche di “Mafia Capitale” rappresenta, in scala ridotta, quello che avviene sul piano nazionale e aiuta a capirlo. Così, ad esempio, il coinvolgimento di ambienti apparentemente opposti, come quello delle cooperative incaricate dell'assistenza agli immigrati e quello dell'estrema destra che orchestra puntualmente “cortei spontanei” contro i centri di accoglienza e i campi rom, rivela quanto ci sia di teatrale e di fasullo negli argomenti della destra e della sinistra sull'immigrazione. Questa si è rivelata, in molti sensi, un vero business; non solo perché, come è sempre accaduto, costituisce per molti imprenditori una riserva preziosa di manodopera a bassissimo costo, ma anche per il fiume di denaro che va alle cooperative, per le opportunità che si aprono a improvvisati “albergatori” legati a questa o quella cordata politico-mafiosa, per il periodico utilizzo che si può fare della tragedia di decine di migliaia di persone, fingendo di preoccuparsene, come fa il governo Renzi, o additandole come fonte di tutti i mali e di tutte le disgrazie, come sta facendo la Lega di Salvini, scimmiottata dall'incolore neo-presidente della Liguria, Giovanni Toti.

Di fronte alla corruzione dilagante, di fronte alle continue prepotenze sociali delle classi più ricche, moltissimi lavoratori hanno disertato le urne alle elezioni regionali. Un rifiuto, una protesta, che hanno raggiunto proporzioni mai viste prima. Ma questo non basta. Occorre che il dissenso dei lavoratori e delle masse popolari nei confronti del “sistema” trovi una sua autonoma espressione politica. Altrimenti costituirà il serbatoio di consensi per nuovi demagoghi.

Il nodo è sociale, è un nodo di classe: i lavoratori, quando ritrovino la capacità di esprimere un proprio partito, un proprio programma e una propria politica, rappresentano l'unica componente della società che ha l'interesse e la possibilità di cambiare radicalmente le cose, togliendo di mano alla classe capitalistica, con tutte le sue propaggini mafiose e camorriste, le leve della direzione dell'economia e dello stato.