Settant’anni fa la fine della Seconda Guerra Mondiale
Alla fine di aprile di settanta anni fa, con la resa dell’esercito tedesco e il collasso di quello che rimaneva del regime fascista, finiva la guerra in Italia, da lì a pochi giorni le armi avrebbero taciuto in tutta Europa.
Per quasi due anni il suolo italiano era diventato un campo di battaglia dove esercito tedesco ed eserciti alleati si fronteggiavano, mentre dietro le linee si svolgeva una spietata guerra civile fra partigiani e fascisti. La reazione dei fascisti e dei tedeschi alla lotta partigiana, come è risaputo, fu spietatissima: rastrellamenti, rappresaglie, deportazione di civili, fucilazioni, villaggi incendiati.
La monarchia italiana, dopo la congiura di palazzo del 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre 1943, aveva abbandonato il fascismo al suo destino e si era affidata agli alleati dichiarando il paese cobelligerante, iniziava così una guerra di liberazione portata avanti da alcuni reparti militari, aggregati al fronte alle forze alleate, e dalle bande partigiane nella parte del paese ancora in mano ai nazifascisti. Il voltafaccia monarchico rifletteva l'obiettivo della borghesia italiana: sopravvivere al meglio alla tempesta della guerra, ridefinire i rapporti con le potenze vincitrici, prima fra tutte gli Stati Uniti, contenere, incanalandolo nel binario patriottico della resistenza, il movimento operaio.
Il movimento operaio italiano, già nel 1943 con gli scioperi di marzo delle grandi fabbriche del nord aveva dato un importante segno di ripresa di vitalità dopo venti anni di dittatura. Però a questa spinta coraggiosa e spontanea della classe lavoratrice non corrispondeva una rete consolidata di militanti rivoluzionari nelle fabbriche.
Al partito cui facevano tradizionalmente riferimento i lavoratori, il Partito Socialista si era aggiunto, e in maniera sempre più crescente il PCI, forte del prestigio che l’Armata Rossa si era conquistata con le sue vittorie sul nazismo sul fronte orientale.
La politica di questi due partiti, al di la delle sfumature tattiche che li contraddistinguevano, era quella di un sostegno completo agli alleati per vincere la guerra. Abbandonando completamente la posizione leninista, gli stalinisti sostenevano che la natura della guerra che era in corso era diversa da quella della prima guerra mondiale: non si trattava più di una guerra imperialista ma di una guerra della “democrazia” (evidentemente svuotata da ogni contenuto sociale) contro la barbarie della dittatura nazifascista e del militarismo giapponese. Inoltre, secondo gli stalinisti, la partecipazione al conflitto dell’URSS, il “primo paese socialista”, rendeva ancor più progressivo il campo degli alleati. In Italia come in Francia, come negli altri paesi occupati, i partiti comunisti e socialisti non fecero appello, nemmeno formalmente, all’internazionalismo proletario, ma spinsero i lavoratori a combattere e morire per la causa alleata, a combattere quindi in uno dei due campi imperialisti che si fronteggiavano. In questo modo il proletariato non agì come classe indipendente ma come forza di complemento subordinata alla borghesia. Ogni sua iniziativa veniva finalizzata allo sforzo bellico degli alleati, così, per esempio, gli scioperi del 1944 nell’Italia occupata, furono utilizzati, giustamente, per accelerare la caduta del fascismo, ma nel quadro di una politica che li subordinava agli interessi del fronte alleato. I dirigenti del PCI e quelli del PSI non avevano nessuna intenzione di sviluppare la lotta operaia al regime fascista fino al punto di mettere in discussione il capitalismo.
Il PCI staliniano, ancor più dei socialisti, mise in soffitta la lotta di classe, negò ogni obiettivo socialista e internazionalista e calunniò e perseguitò fino all’assassinio politico, quando lo ritenne necessario, i militanti comunisti internazionalisti rimasti fedeli al programma del 1921 e chiunque, in un modo o nell'altro, non si allineasse alle direttive “patriottiche” dei Togliatti, degli Amendola, ecc.
L’insurrezione del 25 aprile, in concomitanza dello sfondamento del fronte da parte degli anglo-americani, portò certamente alla caduta del regime fascista in Italia, come la fine della guerra in Europa e in Asia portò alla fine del nazismo e del militarismo giapponese, ma non portò alla fine del sistema imperialista, magari mascherato da vesti “democratiche”, che negli ultimi settanta anni di “pace” ci ha regalato una quantità di guerre che hanno fatto più morti della seconda guerra mondiale.
M. Faroldi