L'11 marzo lo “Stato Islamico” (Daesh) ha diffuso un video in cui si vedono i suoi miliziani in procinto di distruggere vestigia archeologiche risalenti alle civiltà mesopotamiche che hanno attraversato i secoli e sono ancora visibili nel nord dell'Iraq.
Daesh getta in faccia al mondo i colpi di ascia su questi blocchi d'argilla lavorati dall'uomo migliaia di anni fa, nello stesso modo in cui esibisce le decapitazioni di ostaggi, in modo da terrorizzare la popolazione che vuole dominare. Mette in scena la sua barbarie per colpire gli animi, per affermare la sua capacità di distruggere tutto ciò che contrasta la sua visione dell'Islam, per dar prova di determinatezza nell'imporre la propria dittatura.
La distruzione di questi monumenti appare come una perdita importante per tutta l'umanità. Ma questa barbarie di Daesh non deve nascondere la responsabilità dell'imperialismo, fosse soltanto perché l'esistenza di queste milizie è un sottoprodotto delle guerre condotte in Iraq dalle potenze imperialiste occidentali.
Nel gennaio 1991, i pozzi del Kuwait, che le società petrolifere consideravano come la loro proprietà, erano stati occupati dall'Iraq di Saddam Hussein. James Baker, ministro degli esteri degli Stati Uniti, minacciò allora l'Iraq di bombardamenti che l'avrebbero rimandato all'età della pietra. Non erano minacce campate in aria! Gli Stati Uniti presero immediatamente la testa di una coalizione di 50 stati, forte di 700.000 soldati.
Un diluvio di fuoco si abbatté allora sulla popolazione irachena e sulle infrastrutture del paese. Il blocco economico che seguì, durante dieci anni, fece morire certamente un milione di persone, di cui la metà di bambini.
Nel 2003, un nuovo intervento americano, seguito da nove anni d'occupazione, portò il caos, e non soltanto sul piano materiale. Infatti, dopo il rovesciamento del dittatore Saddam Hussein, il paese si sgretolò seguendo le linee delle divisioni confessionali, prima di arrivare ad una guerra civile, sullo sfondo di un paese devastato. Lo sviluppo folgorante della milizia denominata Stato islamico è il prodotto di questa occupazione imperialista.
Da quando l'Iraq è in mano alle milizie, gli archeologi hanno denunciato, immagini alla mano, il saccheggio dei musei e dei siti. Così il museo di Baghdad ha riaperto solo adesso, impoverito dai furti operati durante l'intervento militare del 2003, mentre le truppe americane stazionavano in vicinanza per proteggere il ben più prezioso ministero del petrolio. All'epoca erano apparse fotografie di opere e siti di scavi danneggiati o distrutti, spesso per alimentare un traffico lucrativo destinato ai collezionisti dei paesi ricchi.
Oggi la distruzione sistematica voluta dal potere fondamentalista non fa altro che prolungare lo scempio cominciato dall'intervento occidentale.
J. S.