Centinaia di migliaia di persone, lo scorso 11 gennaio, sono scese in piazza a Parigi spinte dallo sdegno per la strage della redazione del “Charlie Hebdo” e per quella in un magazzino di generi alimentari gestito da ebrei. Fra il 7 e il 9 gennaio tre esaltati islamisti hanno fatto 17 morti.
Rapidamente e con estrema abilità i governanti hanno cavalcato la collera popolare. Hollande, che godeva ormai secondo tutti i sondaggi di un consenso insignificante si è conquistata una gloria non si sa quanto durevole come “uomo della Repubblica”. Ma anche molti altri capi di stato e di governo hanno fiutato la buona occasione che la stolida e feroce azione dei terroristi regalava loro. Tutti i giornali hanno pubblicato la foto del corteo parigino con la Merkel, Hollande e Renzi e tutti gli altri dirigenti o loro rappresentanti.
A Strasburgo, un paio di giorni dopo, Renzi teneva il discorso di chiusura del semestre europeo a conduzione italiana. Nell'occasione dava di nuovo fiato alla retorica europeista sottolineando l'importanza della mobilitazione di Parigi come occasione in cui si sarebbero cementati i vincoli fra popoli nel segno dei “valori” occidentali, in primo luogo la libertà e la tolleranza. Peraltro, la quasi totale assenza dei deputati smentiva nei fatti l'esistenza di qualche cosa che si possa definire passione o anche semplice attaccamento ai “valori” europei nella sede che dovrebbe rappresentarli. Nella sua foga retorica in difesa della pace e della libertà, Renzi non è riuscito a spiegare che cosa ci facessero i rappresentanti della Russia e dell'Ucraina, certo non teneri con le proprie rispettive opposizioni e impegnati a far massacrare ucraini-russi e ucraini dell'ovest in un'assurda guerra civile. Nemmeno la presenza di Netanyahu, il cui governo si dedica con tutta tranquillità al massacro di civili palestinesi era spiegabile. Per non dire del capo della diplomazia saudita, cioè di una monarchia che appena due giorni prima aveva fatto condannare a mille frustate (da subire in comode rate da 50 alla volta) un giovane blogger che aveva osato mettere in discussione il peso della religione nel proprio paese.
Ora, a gran voce, si chiedono provvedimenti energici in patria e all'estero. “Siamo in guerra”, ci viene detto. E si tratta di colpire le basi territoriali dei terroristi, cominciando dalla vasta zona controllata dal cosiddetto Stato Islamico. Ma l'influenza ideologica delle varie bande di ben foraggiati predoni locali che si contendono la Siria, l'Iraq e la Libia nascondendosi dietro i richiami a un Islam integrale, non spiega più di tanto l'adesione al terrorismo di giovani nati e cresciuti in paesi europei. Nei quartieri popolari delle grandi città, in Francia come in Italia e negli altri stati europei, la crisi del capitalismo sta formando leve sempre più numerose di disperati. L'adesione fanatica all'ideologia religiosa o nazionalista appare spesso l'unica risposta possibile a un mondo che sbarra la strada del futuro tanto al giovane di origine magrebina quanto a quello di “razza” europea al cento per cento. Vedendo il fenomeno dal polo opposto, si potrebbe dire che la formazione di vasti strati di gioventù povera e disperata apre una prospettiva promettente a tutta una serie di correnti reazionarie nazionaliste, comunitarie, identitarie che traggono la loro forza dall'odio verso gli altri. L'islamismo è una di queste correnti ma non è certo la sola.
La Lega di Salvini è indubbiamente un esempio di movimento politico reazionario che cerca di sfruttare a suo favore la paura e la diffidenza non solo della piccola e media borghesia ma anche della classe operaia e dei senza-lavoro. La sua propaganda, come del resto quella degli integralisti islamici, non va troppo per il sottile. Dopo le stragi di Parigi ha moltiplicato gli appelli alla chiusura delle frontiere stabilendo un rapporto improbabile fra immigrati e terroristi. Tra l'altro, nella contingenza attuale, la gran parte di chi arriva sulle coste italiane fugge proprio dagli orrori e dalle persecuzioni dei vari regimi dittatoriali e dalle bande islamiste. Spingere il sospetto contro questa gente sarebbe un po' come accusare gli ebrei in fuga dal nazismo di portare...il nazismo!
L'opposizione al terrorismo religioso come a tutte le altre ideologie reazionarie è un dovere per tutte le forze che si richiamano al movimento operaio. Dovremmo per questo sostenere ulteriori bombardamenti e azioni militari in Iraq, Siria o Libia? La storia recente ci dimostra il contrario. Distruggendo l'economia e le infrastrutture di intere nazioni, appoggiandosi di volta in volta a questo o a quel gruppo armato locale, le potenze occidentali hanno favorito in ogni modo la moltiplicazione di bande sanguinarie e l'instaurazione di condizioni barbariche per le popolazioni di questi paesi. Dovremmo appoggiare, in casa nostra, una legislazione più repressiva? No, conosciamo le “nostre” classi dirigenti e come, sotto il pretesto di difendersi dal terrorismo, sappiano gettare il sospetto su ogni forma di ribellione, su ogni tentativo di rispondere con la lotta all'inasprimento delle condizioni di vita dei lavoratori e di tutti gli strati popolari.
Non vogliamo regalare più neanche un giovane al fanatismo religioso, al fascismo, al razzismo. Dobbiamo lottare per costruire un partito proletario che offra una speranza e una dignità agli operai e alla gioventù, che unisca i lavoratori di tutte le nazionalità nel segno di una comune identità di classe e del più avanzato sistema di valori: quelli del socialismo, dell'internazionalismo, di una società senza oppressioni di casta, di razza, di cultura.