Il pestifero vento del Jobs Act soffia anche sulle banchine

Stampa e fonti sindacali hanno dato notizia di un disegno di legge del Ministero dello Sviluppo economico che darebbe una spinta ulteriore alla deregolamentazione del lavoro nei porti italiani.

Già colpito fin dai tempi dei famigerati “Decreti Prandini” del 1989, che cancellarono la riserva delle compagnie portuali, il settore del lavoro portuale si troverebbe rapidamente in un Far West . Nel nome della “libera concorrenza” le banchine si affollerebbero di personale occasionale e raccogliticcio, spinto dalla necessità a strappare una giornata di lavoro vendendosi al prezzo più basso.

Questo ritorno a un infernale XIX secolo, all'epoca dei “confidenti” degli armatori, è naturalmente presentato come il massimo della modernità.

L'allarme è scattato anche per altri lavoratori dell'ambito portuale: ormeggiatori, marittimi dei rimorchiatori, piloti.

A Livorno, dove un recente accordo aveva consentito di salvare i 60 lavoratori dell'Agenzia del Lavoro Portuale, si teme giustamente che questa nuova legge rimetta tutto in discussione. Ma a Genova i posti di lavoro direttamente in ballo sono un migliaio. Ci sono evidentemente tutte le ragioni e tutti i presupposti per una vasta iniziativa di lotta che coinvolga tutte le categorie interessate e in tutti i porti italiani.

La Filt-Cgil livornese scrive in un comunicato: “Così si decreta l'apertura alla totale liberalizzazione del mercato del lavoro portuale, aprendo definitivamente la strada alla concorrenza giocata sulla pelle dei lavoratori”.

I porti hanno una enorme importanza economica e di conseguenza ce l'hanno i lavoratori che li mandano avanti. Se sapranno servirsi di questo elemento di forza potranno respingere il nuovo attacco del governo Renzi.

Corrispondenza Livorno