La Francia dopo gli attentati del terrorismo islamista
La Francia è in guerra” ha dichiarato il primo ministro Manuel Valls davanti all’Assemblea nazionale. Pochi giorni dopo gli attentati di Parigi, ha annunciato nuove misure di sicurezza, la fine delle riduzioni delle spese militari ed un maggiore impegno dell’esercito all’estero. La strage della redazione di Charlie Hebdo e quella degli ostaggi presi in un supermercato ebreo fanno da pretesto ad appelli all’unità nazionale per sostenere le spedizioni militari in Africa e nel Medio Oriente
Certamente questi attentati sono atti infami. Uno ha preso di mira i clienti di un negozio per il semplice motivo che erano ebrei. L’altro ha bersagliato dei giornalisti per ciò che hanno disegnato o scritto, come pure quelli che li proteggevano. Coloro che usano tali metodi non sono solo nemici della libertà di espressione e della libertà di stampa, ma in quanto tali sono anche nemici dei lavoratori, della loro libertà di esprimersi e di organizzarsi. Qualunque sia l'ideologia che essi sostengono, i loro metodi cercano di imporre la dittatura su una popolazione o una frazione di essa. Il terrorismo, che sia strumento degli Stati o di gruppi che cercano di stabilire un potere statale, vorrebbe far tacere qualsiasi espressione di dissenso, e colpisce sempre e soprattutto la libertà degli oppressi di lottare contro lo sfruttamento che subiscono. Lo si vede già nei territori dove l’Isis esercita il potere, in Siria e Iraq.
In Francia, giustamente, questi attentati hanno sollevato l’indignazione di gran parte della popolazione, come hanno dimostrato le massicce manifestazioni che li hanno seguiti. Ma la strumentalizzazione politica fatta di questo evento da parte di vari partiti politici e in particolare da parte del governo di François Hollande e Manuel Valls, non vale meglio. Servendosi di questo evento per invocare l’unità nazionale, cerca di ripristinare il credito che la sua politica gli ha fatto perdere in larga misura. Con una propaganda simmetrica a quella dei terroristi, cerca di imporre a tutta la popolazione la sua politica, come se fosse l’unica possibile.
L’attentato a Charlie Hebdo ha colpito un giornale libertario le cui vignette se la prendevano non solo con la religione musulmana ma con tutte le religioni, con il militarismo, con i governi e le istituzioni. Invece, portandosi alla testa della protesta, Hollande ha presentato l’attentato come un attentato “alla Francia” in quanto tale pretendendo che il suo governo non faccia altro, in Africa e Medio Oriente, che difendere i valori di libertà, uguaglianza, fratellanza. E la cinquantina di capi di Stato e di governo accorsi alla manifestazione del 11 gennaio a Parigi, di cui alcuni dittatori o criminali di guerra quale un Netanyahu, hanno potuto anche loro presentarsi come difensori della pace e della libertà.
Così la giusta indignazione contro l’assassinio dei giornalisti di Charlie Hebdo viene usata per coprire la politica imperialista con il velo della difesa della democrazia. Eppure le stesse manovre e operazioni militari delle potenze imperialiste, condotte in Africa e in Medio Oriente per sostenere gli interessi delle grandi società occidentali, sono in gran parte responsabili dello sviluppo dei cosiddetti gruppi “jihadisti”. Queste bande armate sono state aiutate dai servizi segreti dei paesi occidentali o di loro alleati quali il Qatar, l’Arabia saudita o la Turchia, prima di sfuggire dal loro controllo. Se ora cercano di agire anche in Europa e negli Stati Uniti, è solo un riflesso della barbarie che da anni l’imperialismo ha seminato in varie parti del mondo.
Non mancano i demagoghi, tipo Marine Le Pen in Francia o Lega in Italia, che cercano di sfruttare questi eventi in senso xenofoba o razzista, aizzando una parte della popolazione contro i lavoratori immigrati. Altri nei paesi musulmani cercano di strumentalizzare il malcontento popolare organizzando manifestazioni contro “Charlie” col motivo che non si dovrebbe offendere la sensibilità religiosa dei credenti con caricature su Maometto.
Certo, è più facile essere radicali per questi obiettivi assurdi che aiutare le masse a lottare per i loro veri interessi contro la borghesia locale e i capitalisti stranieri! Da una parte e dall’altra si sviluppa un clima di guerra che, come sempre, rischia di essere pagato innanzitutto dai lavoratori e dalle masse più sfruttate.
La crisi e lo sfacelo del sistema capitalista portano alla decomposizione sociale, alla guerra e alla barbarie. Solo la mobilitazione dei lavoratori nell’unità intorno ai loro obiettivi di classe può aprire alla società un’altra prospettiva.
A.F.