Settant'anni fa l'insurrezione di Atene

Il proletariato greco vittima della politica suicida e avventurista della direzione stalinista


Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale la Grecia era un paese povero, per quanto ormai da tempo inserito completamente nel sistema capitalista, sotto il giogo di una dittatura monarco-fascista con a capo Ioánnis Metaxàs.

Nell'autunno del 1940 l'Italia di Mussolini iniziò, dal confine albanese una sciagurata campagna militare contro la Grecia, il governo (fascista anche lui!) greco non solo organizzò con grande successo una dura resistenza ma strinse ancor di più i suoi legami, da sempre tradizionali, con l'Inghilterra. Solo l'invasione tedesca dell'aprile 1941 risolse per l'Asse un conflitto che poteva diventare una spina nel fianco nel dominio continentale di Hitler.

Si aprirono per il paese anni di dura occupazione e di resistenza all'invasore capeggiate dalle varie forze nazionali e patriottiche a iniziare dal partito comunista, il KKE.

Le prime azioni armate della resistenza iniziarono nell'autunno 1942, il gruppo di gran lunga più organizzato e forte, emanazione del KKE, si esprimeva con una fronte politico l'EAM (Fronte di Liberazione Nazionale) e con il suo braccio armato l'ELAS (Esercito popolare di liberazione greco). Nel giro di tre anni, mobilitando le masse su temi nazionali, patriottici e democratici, anche se con qualche rara venatura "socialista", il KKE da piccola, quasi insignificante forza politica, aumentò tanto la sua influenza fino a diventare, forse, il maggior partito del paese. I suoi rapporti col governo monarchico e con le altre forze della resistenza non furono mai così morbidi come quelli che ebbe il PCI di Togliatti in Italia.

Quando il 12 ottobre 1944 le truppe inglesi sbarcarono al Pireo, l'esercito tedesco si era ormai ritirato e l'EAM controllava quasi completamente il territorio greco continentale e non poche isole.

Nell'estate si era formato un governo di unità nazionale in cui il KKE, sotto consiglio dell'addetto militare sovietico presso l'EAM, era entrato. Il KKE pur controllando la maggior parte delle forze della resistenza ebbe solo due ministeri e alquanto secondari. Pochi giorni dopo che erano giunte truppe inglesi arrivò ad Atene il primo ministro Gheórghios Papandréu col suo governo. Finito l'entusiasmo per la liberazione iniziò un braccio di ferro fra la componente KKE del governo e il resto dell'esecutivo. I contrasti erano sull'epurazione dei collaborazionisti e il disarmo delle forze partigiane. Il governo Papandréu, che era a corto di armati e non si fidava assolutamente del KKE, non solo si rifiutò, nella sostanza di epurare i collaborazionisti, ma accettò che gli inglesi arruolassero questi nella nuova polizia greca, molti di questi fino a poche settimane prima avevano combattuto la resistenza a fianco dei nazisti e non si erano peritati di consegnare ebrei fuggiaschi alla Gestapo. Inoltre fu fatto rientrare ad Atene il battaglione "Rimini" composto da fanatici monarchici ultraconservatori che avevano fatto la loro carriera durante la dittatura Metaxàs quando fu epurata l'ala repubblicana dell'esercito. Per il governo l'EAM doveva essere la prima formazione a consegnare le armi, dopo sarebbe toccato alle altre. Era il modo per disinnescare la forza più importante e l'unica anti-inglese della resistenza greca.

D'altra parte l'Inghilterra, che trattava il governo Papandréu come un soggetto a libertà limitata, appoggiava decisamente questa politica perché sapeva di avere il consenso di Stalin: nel maggio 1944 il ministro degli esteri inglese Eden aveva preso contatto con Mosca per definire una spartizione dei Balcani, nell'ottobre del 1944 Churchill giunse a Mosca per definirne i dettagli, uno di questi "dettagli" affidava il 90% della Grecia all'influenza inglese.

Qualsiasi azione del KKE che avesse tentato di sovvertire i termini di quell'accordo non solo avrebbe trovato la durissima opposizione inglese, ma anche la non disponibilità russa ad appoggiare in alcun modo l'azione del partito "fratello".

Un accordo fra governo e KKE divenne ormai impossibile, gli stalinisti uscirono dal governo ed indissero una grande manifestazione per il 3 dicembre ad Atene per far dimettere Papandréu, il cui governo era considerato ormai minoritario e portatore di guerra civile, ed instaurare un nuovo governo di "sincera unità nazionale".

La manifestazione che doveva essere pacifica e disarmata, finì in un bagno di sangue. Reparti della polizia aprirono il fuoco sulla folla provocando morti e feriti, la miccia era stata accesa

Fu proclamato lo sciopero generale e il giorno successivo (già nella notte distaccamenti dell'ELAS avevano cominciato ad attaccare alcuni posti di polizia) durante i funerali delle vittime dai tetti i cecchini spararono sulla gente che seguiva i feretri.

Iniziava così una battaglia per il controllo di Atene che durò un mese. Inizialmente le forze governative sembrava che stessero per soccombere, ma dopo alcuni giorni con l'arrivo di ingenti rinforzi inglesi distolti velocemente dal fronte italiano la situazione si riequilibrò.

Il pomeriggio di Natale lo stesso Churchill, preoccupatissimo, giunse ad Atene per seguire sul posto la situazione e per stringere ancor di più il giogo sul governo greco. Ancora in quei giorni il KKE sperava in una tregua a un compromesso e a una sua partecipazione in un nuovo governo di unità nazionale. Ma non era questa l'intenzione di Churchill, governativi e inglesi stavano prevalendo e sarebbero stati loro a dettare le regole. Non si raggiunse quindi nessun accordo e il 6 gennaio gli insorti cominciarono ad abbandonare Atene trascinandosi dietro circa quindicimila ostaggi. Dall'altra parte gli inglesi non erano da meno, avendo deportato tredicimila persone, sospettate di essere aderenti all'EAM, in campi di concentramento in Nord Africa.

Solo l'11 gennaio si raggiunse un primo accordo, l'EAM si impegnava a sgombrare gran parte della Grecia Centrale, del Peloponneso settentrionale, della regione di Salonicco e delle isole, inoltre s'impegnava a rilasciare tutti gli ostaggi.

Il 12 febbraio a Várkiza una località a sud di Atene si raggiunse infine un accordo vero e proprio. L'ELAS si sarebbe impegnato a consegnare le armi in cambio di una amnistia per i reati politici e l'epurazione dei collaborazionisti. L'amnistia includeva però solo i quadri più elevati del movimento partigiano che erano giustificati per "aver agito politicamente". I "reati" dei militanti furono giudicati da tribunali composti da giudici che avevano lavorato con zelo durante la dittatura di Metaxàs e con i governi collaborazionisti che avevano promulgato circa quattromila provvedimenti legislativi che erano rimasti in vigore. Nessun collaborazionista fu mai epurato.

Dopo aver portato i movimento operaio e popolare sul terreno interclassista e nazionalista facendolo schierare con una delle parti in lotta nella seconda guerra mondiale imperialista; dopo aver sterminato chiunque si opponesse a questa politica su posizioni internazionaliste (non pochi furono i trotskisti e gli archiomarxisti passati per le armi da sicari del KKE) i dirigenti stalinisti, pur di assicurarsi la salvezza personale, consegnarono alla giustizia borghese i militanti della loro stessa organizzazione. Dando così un lucido quadro di quale fosse il loro ruolo controrivoluzionario.

Mauro Faroldi