Tutti assolti, reato prescritto, nessun risarcimento. Chiuso il processo per disastro ambientale. La Cassazione smentisce la Corte d’Appello e manda assolto il magnate svizzero che ha avvelenato il mondo – consapevolmente, è bene ricordarlo. Ma la sentenza non mette, non ancora, la parola fine alla storia del materiale killer
Ne avevamo già parlato alla fine del processo di Appello, nel giugno 2013, quando la corte aveva condannato l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny a 18 anni di reclusione. All’epoca il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, che aveva condotto le indagini presso il Tribunale di Torino, aveva commentato: “Questa sentenza ci dice che non è mai azzardato sognare. Questa sentenza è un inno alla vita, un sogno che si avvera. Siamo andati al di là di ogni aspettativa. Con questa sentenza si aprono grandi prospettive anche per le vicende di Taranto e per le altre città che aspettano giustizia. Non è finita qui e non è finita nel mondo”. Invece, dopo ben due gradi di giudizio che avevano condannato il magnate svizzero, la Corte di Cassazione è tornata all’ordinario. C’è poco da sognare, per la giustizia i padroni hanno ragione anche stavolta: il reato è prescritto e non c’è nessun colpevole, perché gli stabilimenti inquinanti di Casale Monferrato, la fabbrica di cemento amianto più grande d’Europa, sono chiusi dal 1986, e a partire da questa data i giudici hanno contato i tempi della prescrizione del reato. Non solo: sono stati annullati tutti i risarcimenti in favore delle tremila parti civili, che si erano costituite nel processo; soldi destinati tra l’altro anche a Comuni e istituzioni, che speravano di incassarli per le bonifiche dei territori. Che nel frattempo il disastro sia continuato, continui e sia destinato a continuare anche in futuro; che tonnellate di materiale tossico, costosissime da trattare e da rimuovere, pericolosissime a tempo indeterminato, siano sparse ovunque; che il mesotelioma pleurico, il terribile cancro da amianto, mieta vittime in continuazione, e il picco della strage sia previsto fra un ventennio: tutto ciò tutto sommato è ininfluente.
Per tutto il Novecento, la Eternit ha realizzato profitti e fatto soldi non solo sfruttando la manodopera, ma costruendo le proprie fortune sulle malattie e sulla morte dei propri dipendenti e di intere popolazioni, nonché su imponenti danni ambientali. Eppure questi stessi danni, provocati dalla micidiale fibra di amianto, erano conosciuti ufficialmente almeno dagli anni ’60 del secolo scorso. Malgrado ciò, non solo l’impresa ha continuato a produrre il materiale macinando utili finché ha potuto, ma la messa al bando per legge dell’amianto data soltanto dal 1992. Per trent’anni, per tutelare i profitti delle imprese produttrici, si è consentito la produzione, l’uso e la commercializzazione di un materiale letale. Oggi ci viene spiegato che, dato che questo materiale non viene più prodotto dal 1986, il reato non c’è più, è estinto.
In ogni caso, l’impresa produttrice detiene ogni sorta di tutela, e la società è tenuta ad assicurare unicamente questo diritto. Probabilmente non è ancora stata tentata una stima, anche solo incompleta, di quanto sia costato all’intera società assicurare queste tutele a Eternit. Tanto per dare un’idea degli ordini di grandezza, all’INAIL, l’istituto pubblico che tutela gli infortuni e le malattie del lavoro, le sole prestazioni ai lavoratori colpiti dalle patologie provocate dall’amianto sono costate – per ora - 280 milioni di euro. L’INAIL si era costituita parte civile, e non potrà mai recuperare questi costi, definitivamente perduti dopo questa sentenza. I materiali di cemento amianto sono ancora presenti ovunque, e il loro smaltimento risulta unicamente a carico di chi si ritrova un manufatto che lo contiene. Ovviamente sono incalcolabili i costi per le sofferenze dei malati e delle loro famiglie.
Ma c’è anche chi non si arrende. Dopo la sentenza, il pm Raffaele Guariniello ha commentato: “La Cassazione non si è pronunciata per l’assoluzione, il reato evidentemente è stato commesso, ed è stato commesso con dolo. Abbiamo quindi spazio per proseguire il nostro procedimento, che abbiamo aperto mesi fa, in cui ipotizziamo l’omicidio. Questo non è il momento della delusione, ma della ripresa. Noi non demordiamo”. (Corriere della Sera, 20.11.14) Si tratta del cosiddetto processo Eternit-bis, che fa riferimento agli oltre 3.000 morti accertati per l’Eternit, e siccome la strage continua, purtroppo saranno molti di più quando il processo sarà celebrato. Fra loro ci sono anche quei lavoratori che venivano accusati dai direttori della fabbrica di essersi ammalati per aver fumato troppo.
Aemme