Il presidente della Confindustria ha dichiarato che i provvedimenti messi in cantiere dal governo realizzano i sogni degli industriali. Sembra una dichiarazione d'amore. Difficilmente, nel passato, si è avuta una così totale e aperta consonanza di aspirazioni e di obiettivi fra l'associazione padronale e un governo. Squinzi e Renzi sono una vera e propria coppia di fatto!
I “sogni” di cui si parla sono la completa libertà di licenziamento, da estendere il più presto possibile ai lavoratori del pubblico impiego, e la completa subordinazione dei lavoratori alle esigenze del padronato.
Come al solito, se la prendono con l'articolo 18.
Ma dopo la cosiddetta “Riforma del lavoro” di appena due anni fa questo si è ridotto a poca cosa. Di fronte ad un licenziamento che si dimostri ingiustificato, non motivato da ragioni economiche, un giudice può ordinare il reintegro del lavoratore nell'azienda dove lavorava. Eliminare anche quest'ultimo brandello di difesa legale equivale a dire che il lavoratore è in tutto e per tutto un oggetto in mano al padrone che se ne può servire quanto vuole a suo piacimento e liberarsene come si fa con una scarpa vecchia. Soprattutto, come ha ricordato il premio Nobel per l'economia Joseph Stieglitz, equivale ad aggravare ulteriormente le condizioni di estrema debolezza nelle quali già oggi si trova la classe lavoratrice nei confronti del padronato. Detto altrimenti: ancora più precarietà, ancora più disoccupazione, ancora più salari da fame.
I sostenitori del “Jobs act” di Renzi dicono le stesse cose che dicevano ai tempi della “riforma” Fornero. Editorialisti e commentatori vari, come vecchi Juke-box scassati, ripetono gli stessi vecchi dischi, “Superare i tabù”, “Non ci possono essere anziani super-garantiti e giovani super-precari”, “Bisogna attirare gli investimenti stranieri”...
Tutto questo polverone per sostenere uno schema ripetuto tante volte. Si chiede ai lavoratori di pagare subito e in cambio si promette loro un libro dei sogni nel quale è scritto: “diritti per tutti, tutele crescenti, indennità universale di disoccupazione, politiche attive del lavoro”. Chi non ricorda il duo Monti-Fornero con le loro promesse di un sistema di garanzie... “scandinavo”? Il risultato fu un esercito di lavoratori rovinato economicamente perché troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio per trovare un lavoro (gli esodati), la prospettiva, per milioni di salariati di una vita lavorativa prolungata fino alla vecchiaia, senza nemmeno riguardo alla tipologia di lavoro svolto, l'abolizione del diritto al reintegro nel caso di licenziamento individuale per ragioni economiche. Anche questi sacrifici dovevano servire alla “ripresa” economica, ad attirare investimenti, a favorire nuove assunzioni e a diminuire il debito pubblico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: più disoccupazione, meno investimenti, più debito pubblico.
Se questo è il quadro, non è possibile tollerare altri sacrifici e non è accettabile il gioco infame di chi vuole mettere gli uni contro gli altri il lavoratore anziano e suo figlio, il dipendente pubblico e quello privato, il precario e il dipendente a tempo indeterminato.
La crisi continua a colpire. Sarebbe assurdo credere a chi ci racconta che per approntare un sistema di difesa sociale per tutti si dovrebbe cominciare con lo smantellare le poche tutele rimaste a una parte dei lavoratori.
È giusto che non ci debbano essere lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Questo significa che bisogna mettere tutti in serie B?
A questa ingiustizia si rimedia solo se si generalizzano e si migliorano le tutele esistenti per una parte del mondo del lavoro e vi si aggiungono quelle che gli effetti della crisi rendono drammaticamente urgenti, come la garanzia di un'indennità di disoccupazione che consenta una vita dignitosa.
Se parliamo di leggi, quella che la situazione sociale rende indispensabile è una legge che proibisca i licenziamenti e non certamente una che li favorisca!
Bisogna opporsi ai piani di Renzi e della Confindustria e far sentire la nostra voce.
Le mobilitazioni annunciate dalla Fiom e dalla Cgil, come quelle dei sindacati di base, devono essere l'occasione per una grande ripresa delle lotte di tutto il mondo del lavoro. La classe lavoratrice ha già pagato un prezzo enorme per una crisi i cui responsabili continuano ad ammassare ricchezze. È ora di dire basta.