La crisi economica più grave dal dopoguerra pare senza fine. Se nel paese non si intravede alcuna schiarita, in Campania i sei anni di recessione hanno messo in ginocchio una terra storicamente martoriata. A pagare in termini di peggioramento delle condizioni di vita sono ancora una volta i lavoratori e le loro famiglie.
I dati Istat sono inequivocabili. Dal 2007 al 2013 il tasso di disoccupazione nella regione è salito dal 11,2% al 21,5% e quello della disoccupazione giovanile dal 25% al 44,3% (età compresa tra i 15 e i 29 anni).
I dati del rapporto Bankitalia campana del 18 giugno scorso non fanno che confermare la gravità della situazione. I disoccupati sono raddoppiati nei sei anni di crisi (da 200.000 nel 2007 a 400.000 nel 2013) e nel primo semestre di quest'anno 50.000 persone in più hanno perso il posto di lavoro. Di male in peggio, dunque. I giovani che non studiano e non lavorano sono 606.000 a fronte dei 379.000 a livello nazionale, vale a dire il 41% dei giovani nella regione contro il 27% di quelli in Italia. Aumentano le famiglie che rinunciano ai consumi, a partire da quelli più necessari. Nel 2013 si è registrato un calo del 3,1% rispetto al 2012 e addirittura del 14,2% rispetto al 2007.
Il Pil registra un calo del 2,7% rispetto al 2012 (meno 13,5% negli ultimi sei anni, circa 6 punti in meno della media nazionale). A picco l'edilizia e i servizi, raddoppiano i fallimenti delle imprese, gli investimenti in un anno sono scesi del 5,6%. Il calo di questi ultimi del 44,7% dal 2007 al 2013 è indicativo della profondità della crisi. La crisi di sovrapproduzione e la conseguente saturazione del mercato portano inevitabilmente al blocco degli investimenti. E' questo il motivo principale per cui in Campania, e non solo lì, non si spendono tutti i fondi europei destinati alla cosiddetta crescita economica. E quando si spendono, si utilizzano male a causa delle inefficienze, della corruzione e per gli interessi speculativi. Le risorse europee destinate alla regione campana per il periodo 2014-2020 ammontano a ben 21 miliardi di euro, 5 in più rispetto alla programmazione 2007-2013. Se ci riferiamo ai soli fondi per i programmi operativi regionali (Por), nel 2013 sono stati spesi 1,9 miliardi, circa il 35% della dotazione disponibile, il livello più basso tra le regioni meridionali. E da questi "pochi" soldi i lavoratori e le loro famiglie non hanno ricevuto alcun beneficio salariale od occupazionale. Quando si investe nei comparti industriali, nella migliore delle ipotesi, lo si fa dove vi è un alto contenuto tecnologico e un basso livello occupazionale. E' un fatto incontrovertibile, dal momento che la classe lavoratrice non ha nessun controllo sulle risorse economiche, controllo che invece resta appannaggio dei capitalisti che si servono dei governanti locali e nazionali per convogliare ogni ricchezza verso i profitti.
Sono governanti privi di scrupoli che non esitano a farsi beffe della popolazione meno abbiente millantando un quadro economico e sociale che non esiste nella realtà. Matteo Renzi in questo senso è insuperabile. Nella sua visita di ferragosto a Napoli, il capo del governo si è recato alla K4A, una fabbrica che produce elicotteri leggeri ad alta tecnologia. Lì non ha perso l'occasione di sfoggiare la sua capacità di imbonitore affermando che «A Ponticelli vedi una start up all'avanguardia mondiale su ingegneria e elicotteri. Anche questa è Napoli. L'Italia che riparte». Parole ancor più vergognose se si pensa che sono state pronunciate in un quartiere tra i più degradati della città. E' un episodio che un po' fa tornare alla mente il Mussolini che, alla vigilia della seconda guerra mondiale, passava in rassegna le forze aeree, sempre le stesse in ogni aeroporto. Propaganda quella del "Duce" come quella di Renzi.
Il quadro ivi descritto è ancora più preoccupante se si pensa che i lavoratori sono abbandonati a se stessi, privi di una rappresentanza politica che ridia loro una prospettiva di inversione dei rapporti di forza al fine di uscire dalla crisi senza più pagarne i pesantissimi costi. Lo dimostrano le parole del segretario generale della Cgil campana Franco Tavella, il quale, nel commentare i dati Istat sulla disoccupazione in Campania, ha affermato che «è necessario prendere atto di una situazione sociale che alla ripresa autunnale potrà rivelarsi esplosiva.... I limiti raggiunti dalla disoccupazione, ed in particolare da quella giovanile, disegnano una condizione al limite della rottura sociale». Sono indubbiamente le parole di un burocrate sindacale che, in quanto tale, teme la rivolta sociale anziché auspicarla e individuare gli strumenti per farle assumere i connotati di uno scontro di classe evitando che invece essa degeneri in una jacquerie dell'età contemporanea.
Corrispondenza da Napoli