C’era da aspettarselo: ogni volta che si intende realizzare un taglio immediato a pronta cassa sul bilancio dello Stato, la soluzione è a portata di mano. Basta bloccare ancora per un anno, ancora per due anni, i contratti del pubblico impiego.
La Riforma della Pubblica Amministrazione, orfana dei decreti attuativi, è ancora poco più di una scatola vuota; salvo prevedere il trasferimento nel raggio di 50 chilometri dei dipendenti in esubero che non abbiano figli sotto i tre anni. Il che, tra l’altro, significa che al compimento del terzo anno dei figli, padri e madri diventeranno automaticamente trasferibili. E salvo prevedere anche il demansionamento, che precedentemente non era possibile. Quanto alla possibilità di nuove assunzioni nel pubblico impiego, malgrado la costante emorragia di posti degli ultimi anni, resta la possibilità di assumere nel 2014 solo per il 20% delle spese sostenute per coloro che sono andati in pensione nell’anno. La percentuale potrà salire al 40% nel 2015, e gradualmente arrivare al 100% nel 2018. Salvo, naturalmente, i vari ed eventuali aggiustamenti che da qui al 2018 si potrebbero rendere necessari. E, considerati i criteri usati fino ad oggi, non ci sarebbe da stupirsi se ci fossero ulteriori pesanti blocchi delle assunzioni.
A tanto arriva la frenesia dei tagli per i lavoratori del pubblico impiego, che non si è riusciti nemmeno a raccattare la cifra irrisoria che serviva per mandare in pensione 4000 insegnanti che avrebbero avuto i requisiti per andare in pensione anche dopo la riforma Fornero, se fosse stato previsto che per la scuola la possibilità di andare in pensione non scatta alla fine dell’anno solare, ma alla fine dell’anno scolastico; quindi sono stati trattenuti in servizio oltre il 31 dicembre, data entro la quale avrebbero potuto andare in pensione, ed oltre la quale non era più possibile.
Perciò, quando in pieno agosto ha cominciato a circolare la voce di un nuovo blocco dei contratti, gli unici a stupirsi avrebbero potuto essere soltanto i Sindacati della triplice, che in questi anni raramente hanno tentato una qualsiasi strategia di difesa. Alle loro battagliere minacce di fine agosto, con le quali annunciavano chissà quali reazioni, il Governo non si è degnato neanche di rispondere. A meno che non si voglia considerare una risposta la dichiarazione della ministra Madia: “In questo momento di crisi le risorse per sbloccare i contratti a tutti non ci sono…i contratti hanno iniziato a essere bloccati all’inizio della crisi. Una crisi che visiti i dati sull’economia prosegue e che il Governo è impegnato a superare. Uno sforzo che deve coinvolgere tutti, sia il Governo sia le parti sociali.” (Il Sole 24 Ore, 3.9.14).
Quindi indirettamente la ministra conferma che, piaccia o no, i contratti saranno fermi anche nel 2015 e chissà mai se, quando e come verranno rinnovati.
Dall’inizio della crisi non c’è stata soluzione di continuità tra i Governi, di destra o di sedicente sinistra che fossero: il primo serbatoio a cui attingere sono stati il taglio dei posti di lavoro e il concreto taglio salariale dei lavoratori del pubblico impiego. Una stima della Cgil calcola che tra il 2010 e il 2014 la perdita media dei salari ammonta a 4.200 euro; con l’aggiunta del blocco al 2015 la perdita raggiungerebbe quota 4.800 euro.
Ciononostante, sono sostanzialmente mancate reazioni incisive da parte dei lavoratori. Va ricordato che la strategia sindacale, tutta impostata all’acquiescenza da parte di Cisl e Uil, e a sporadici scioperi simbolici da parte di Cgil, inevitabilmente ha provocato scoraggiamento e sfiducia.
Del resto lo sciopero nel pubblico impiego è un’arma spuntata, stretto com’è nelle maglie del mantenimento dei servizi minimi essenziali, che molto spesso non sono né minimi né essenziali, ma solo un pretesto per impedire qualsiasi azione di lotta efficace. E’ chiaro che, di fronte a un forte movimento di massa, non c’è legge antisciopero che tenga. Ma di fronte a una situazione di stallo, il freno funzione ed è efficace: gli scioperi nel pubblico impiego, per quanto rari, hanno un’incidenza minima e in genere passano inosservati; il che viene spesso addotto come motivo per la mancata adesione. Di conseguenza, bisogna cominciare a ragionare sull’evidenza che, di fronte al mancato rispetto di qualsiasi regola dalla controparte, e quindi di fronte a una situazione di emergenza, è necessario rispondere con altrettanta determinazione. Ma è pensabile una lotta decisa di questi sindacati contro le leggi antisciopero, con azioni conseguenti? E’ possibile che sia l’azione dei lavoratori a spingerli in questa direzione?
Corrispondenza pubblico impiego