Terra dei Fuochi. Come si minimizza una tragedia
"Fiume in piena". Così venne chiamato il corteo di popolo che il 16 novembre del 2013 attraversò le vie di Napoli per chiedere a gran voce la fine del biocidio nella zona che si colloca tra Caserta sud e Napoli nord. Un biocidio provocato da decenni di commercio legale e illegale dei rifiuti, un commercio che ha creato discariche abusive, sversamenti di rifiuti tossici, falde acquifere inquinate dal percolato, danni irreversibili alla salute per coloro che abitano nella cosiddetta Terra dei fuochi. I dati pubblicati recentemente dall'Istituto Superiore di Sanità parlano chiaro. Nella provincia di Napoli l'eccedenza delle morti per tumori rispetto a quelle verificatesi nel resto della regione è del 10% in più per gli uomini e del 13% in più per le donne, nella provincia di Caserta rispettivamente del 6% in più e del 4% in più.
A otto mesi di distanza nulla è stato fatto dal governo Letta prima e da quello Renzi poi per dare una soluzione al problema. Le istituzioni locali, dal canto loro, si sono fatte sentire solo per il gioco dello scarica barile, gettando le responsabilità ora sulle altre istituzioni locali ora sul governo nazionale. In sintesi, sono mancati veri e seri controlli dello stato effettivo del disastro ambientale e tantomeno si è proceduto a bonificare i terreni inquinati. Una cosa in verità è stata fatta, quella di minimizzare, se non di negare, la gravità della situazione in quei luoghi. Si è arrivati addirittura a colpevolizzare, umiliandola, la popolazione campana attribuendole, come fece l'anno scorso la ministra della Salute Lorenzin del governo Letta, oggi riconfermata nello stesso dicastero dal governo Renzi, la quale affermò che “in Campania non si muore per i roghi tossici ma per gli stili di vita scorretti”. Ebbene, questa ministra, a tutt'oggi, non ha ancora messo in atto un accurato screening sanitario nelle zone colpite dalla devastazione ambientale. Quella della Lorenzin non è stata un'estemporanea ed improvvida sortita di un ministro poco avveduto, ma l'espressione di una volontà politica deliberatamente perseguita da governi che antepongono la tutela del profitto a quella della salute della popolazione. Lo conferma il documento della Commissione interministeriale sui "Risultati delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni destinati all'agricoltura della Regione Campania" pubblicato nel mese di marzo di quest'anno. Per la Commissione solo il 2% del territorio è effettivamente a rischio ambientale, la quisquilia di 64 ettari di terreno. Un vero e proprio dileggio nei confronti di chi da anni lancia l'allarme per l'ampiezza della dimensione dei danni all'ambiente e alla salute causati dalla criminale gestione dei rifiuti industriali fatta di intrecci tra imprenditori del nord Italia e camorra. Un allarme supportato da dati scientifici inoppugnabili ancorchè ignorati dalle istituzioni (vedi "L'Internazionale", Settembre 2013, pp.2, 3). E quando si ammette l'esistenza di un'emergenza nella Terra dei Fuochi, lo si fa solo per mandarvi l'esercito al fine di contrastare, si dice, sversamenti e roghi provocati dalle ecomafie. La storia mostra come, ogni volta che si risponde ai problemi sociali con provvedimenti di ordine pubblico, i primi restino tutti nella loro gravità, i secondi da provvisori diventino definitivi. Di nuovo, oggi, si predilige la militarizzazione permanente di un territorio alla prevenzione sistematica dei danni all'ambiente.
Dobbiamo dunque dedurre che non ci sarà nessuna bonifica di quelle terre avvelenate? No. Le bonifiche verranno avviate, certamente fuori dal controllo delle popolazioni colpite dal disastro ambientale, e solo quando gli appaltatori, che siano camorristi o imprenditori in doppio petto, saranno sicuri di poter lucrare nell'impunità. A questo si ispira il disegno di legge sui reati ambientali approvato dalla Camera dei deputati nel febbraio scorso ed oggi in discussione al Senato. Da evidenziare che il testo è stato approvato da tutti i gruppi parlamentari (eccetto Forza Italia e Lega che si sono astenuti), compresi M5S e Sel, che figurano addirittura tra i firmatari. Il DL 1345 è un vero e proprio lasciapassare per qualsiasi crimine all'ambiente. Lo chiarisce il documento sottoscritto nel giugno scorso da vari comitati sorti negli ultimi anni contro le politiche di devastazione ambientale in Campania e in altre regioni del Sud. Il disegno di legge definisce il disastro ambientale come "alterazione irreversibile dell'equilibrio dell'ecosistema", un fatto impossibile da dimostrare in quanto l'irreversibilità è un concetto aleatorio. Il reato di inquinamento ambientale viene subordinato alla violazione di leggi preesistenti spesso poco severe e insufficienti. Non basta il pericolo concreto a configurare il reato di "disastro ambientale", ma questo deve essere comprovato, ossia, come si afferma nel documento, si dovrebbe "quantificare l'estensione del territorio colpito ed avere la certezza di una correlazione incontrovertibile tra inquinamento e aumento delle malattie e dei decessi nelle zone colpite". Dulcis in fundo, viene introdotto il ravvedimento operoso. Chi inquina, insomma, ha diritto ad una riduzione della pena fino a due terzi purchè si impegni alla riparazione del danno (ad esempio con le bonifiche). Gli interessi dei grandi gruppi industriali come Enel, Eni, Ilva, tutti ad oggi sotto processo per inquinamento, sono così protetti.
La popolazione, quella che non vive di appalti ma di lavoro quando c'è, dovrà invece continuare a lottare senza riporre alcuna fiducia verso chi la governa, ma solo nelle proprie forze.
M.I.